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Americana - Gossip Girl

Pubblicato il 8 gennaio 2009 da Fabiana Proietti


Americana - Gossip Girl

Da Orange County alla Grande Mela, l’enfant prodige dei creatori di serie tv, Josh Schwartz, che fresco di college sfornò il successo The O.C., cambia costa e ambienta i suoi intrighi giovanilisti nell’ Upper East Side, l’angolo più chic di Manhattan. Ma che siano ville gigantesche affacciate sull’Oceano o lussuosi alberghi a cinque stelle la sostanza è sempre la stessa. Intrighi amorosi, un ritmo vorticoso scandito da canzoni pop rock di band (finto) indie, odi, vendette e un confronto generazionale che accosta smarriti genitori appena quarantenni ai loro fragili figli adolescenti.

Gossip Girl rivela immediatamente il marchio di fabbrica del suo giovane autore. I suoi punti di forza ma, indubbiamente, anche quelli deboli. E abbiamo l’impressione che il giovane Icaro della serialità americana rischi per la seconda volta di bruciarsi le ali. Schwartz mostra una personalità del tutto simile a quella degli adolescenti che racconta. Vuole tutto, e lo vuole subito. E spesso, dopo una prima stagione densa di avvenimenti e colpi di scena, le storie sono esaurite, i personaggi bruciati. A livello creativo, il fenomeno The O.C. ha retto per un’unica, brillante stagione, tenuto in vita dai macchinari per le altre tre a soli fini commerciali. E pensare che l’incessante girandola di eventi dell’episodio pilota aveva rivoluzionato i codici del teen drama proprio per le sue accelerazioni, il suo sfarzo, i protagonisti non dipinti come eterni bravi ragazzi americani intenti a mangiare torte di mele, ma, al contrario, come individui problematici, inclini ad esagerare con l’alcool e il sesso, scossi dall’irruzione del mondo reale incarnato da Ryan, il nuovo arrivato.

Anche in Gossip Girl tutto accade subito. Ma a differenza del ribelle di Chino che scuoteva i falsi equilibri della comunità di ben pensanti, la Serena Van Der Woodsen di Gossip Girl non approda per la prima volta nel microcosmo upper class: il suo è un ritorno. Un ritorno infelice, complesso, che scatena una serie di reazioni impreviste. Serena, a conti fatti, si comporta come una sorta di revenant bergmaniano. Un’apparizione, un fantasma. Una figura con cui tutti gli altri protagonisti si rapportano in maniera assoluta: è la Rivale, l’Amore, il Mito. Sì, un nuovo mito pop, la cui immagine viene replicata dai mille schermi di smart phone in giro per Manhattan e che esiste proprio perché tutti ne parlano.
Le voci circolano non appena mette piede nella stazione di NY e l’azione parte. Ma senza la tecnologia, senza i palmari, senza il blog della misteriosa Gossip Girl – la voce nell’edizione originale è quella di Kristen Bell/Veronica Mars (scelta rispettata dal doppiaggio italiano, affidato di nuovo a Valentina Mari) – la giovane e bella Serena forse non esisterebbe. Tornerebbe in quella sorta di limbo che è l’oblio mediatico, per cui non apparire equivale a non esistere. Come i divi non più bersagliati dai flash dei paparazzi, condannati a una nuova damnatio memoriae.

Ma Gossip Girl è soprattutto un serial interattivo. Gli spettatori, i lettori del blog, diventano protagonisti in un secondo, basta un bacio a una festa, un ballo o uno schiaffo perché la ruota giri e la platea diventi palco. Così come è facile scendervi, una volta finito il momento di celebrità – e i quindici minuti di Andy Warhol si riducono ai 30 secondi dello spot – il tutto in un incessante farsi e disfarsi di storie, pettegolezzi, amori consumati dal villaggio globale in un tempo che fagocita trame e personaggi.
Gossip Girl svela quindi, oltre alle pruderie adolescenziali, un meccanismo comunicativo alla base della società-acquario dei Facebook, dei MySpace, che appare il dato più interessante del serial, per altri versi ennesima variazione dello schema classico del teen drama americano. La versione di O.C. sull’East Coast ha però un ultimo motivo di interesse, da ricercare nelle contaminazioni. Anche se lo schema narrativo ricalca appunto quello della sua precedente creazione, Schwartz sembra aver mutuato le atmosfere e alcuni personaggi dalle tinte acide di Veronica Mars e dalla versione cinematografica de Le regole dell’attrazione o Cruel Intentions.
Come i personaggi ellisiani trasposti in immagini da Roger Avary, i protagonisti di Gossip Girl – per lo meno alcuni – fanno respirare un fascino malsano, inquietante come la deliziosa megera Blair e l’amorale Chuck, pusher del gruppetto, rampollo viziato e disilluso che pare modellato sul più giovane dei fratelli Bateman (a suo tempo interpretato da James Van Der Beek/Dawson Leery, a dimostrazione dei bizzarri ricorsi tra il film di Avary e il teen drama, di cui gli studenti del Camden sembrano doppi malvagi).
Siamo però scettici sulla durata di questo appeal, che presto potrebbe trasformarsi in (in)sano buonismo. Ma, soprattutto, la voracità con cui il giovane e talentuoso Schwarz divora le proprie creazioni ci induce a credere che tutti i sottotesti brillanti, gli spunti creativi e originali verranno presto espunti dal serial per ritrovarsi a guardare soltanto “un’altra stupida commedia americana” .


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