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Americana - Hidden Palms: miraggi nel deserto

Pubblicato il 11 giugno 2008 da Giampiero Francesca


Americana - Hidden Palms: miraggi nel deserto

Dal sogno, le spiagge Orange County, ai miraggi del deserto di Palm Springs. Dopo i fasti di The O.C. il teen drama cambia pelle spostandosi di pochi chilometri lungo le assolate coste del Pacifico sui litorali afosi californiani. Il piccolo spostamento geografico non tragga in inganno, è solo la punta di un enorme iceberg che separa la creatura di Josh Schwartz dall’ultima (e purtroppo breve) fatica di Williamson, Hidden Palms.

Come tutti i generi ogni teen drama deve la propria sorte alla capacità di rappresentare, di metaforizzare, i problemi, le realtà, i vissuti della generazione simboleggiata. I ragazzi belli e vincenti di Beverly Hills 90210 (1990-2000), ad esempio, raffiguravano perfettamente quell’America, figlia del riflusso e degli Yuppie, “padrona del mondo”. Una realtà dorata, vincente, in cui il sogno americano, perfettamente incarnato da quel 90210 sinonimo di lusso e successo, poteva essere a portata di mano. Un sogno possibile anche per una piccola famiglia di Minneapolis (i Walsh protagonisti della prime serie), un sogno realizzabile per chiunque. Nasce così il teen drama, per una generazione già spaesata e meno definibile delle precedenti, ma ancora caratterizzata da una speranza ed un ottimismo verso il futuro destinato a finire con la fine del secolo.

Il cinema delle star di Hollywood, padri e madri dei protagonisti di Beverly Hills, diviene così la speranza a cui aggrapparsi in Dawson’s Creek (1998 – 2003), la provincia torna protagonista e la grande città (la New York da cui proviene Jennifer Lindley) si trasforma in una realtà traviante, piena di pericoli e trabocchetti. Pur mantenendo intatti alcuni topoi del genere (restano immutate sia le caratteristiche location che i principali personaggi) l’atmosfera e la struttura della serie ambientata a Capeside risente profondamente del nuovo contesto socio culturale. Gli anni ’80 sono lontani e l’immagine di un’America senza “avversari” inizia a vacillare. La prima istituzione a cedere è la famiglia. Privi di figure di riferimento, abbandonati a loro stessi, i ragazzi di Dawson’s creek sono costretti a farsi forza l’uno con l’altro. E’ la gang, costruita su di un quartetto standard (il nerd, il bello, la provocante e la secchiona) spesso isolato dal contesto sociale, a sorreggere i suoi membri (l’unica figura matura e positiva è la nonna di Jen, sostitutivo della famiglia al pari del sig. Giles in Buffy). Per la prima volta viene così rappresentata un’adolescenza costretta a correre, a maturare, a diventare grande molto più in fretta. Una generazione per questo impaurita e, a volte, apparentemente priva di futuro (Joey Potter).

Una generazione che esplode con The O.C. (2003 - 2007). Chi ha visto nella prima serie di Schwartz un ideale successore di Beverly Hills ha probabilmente peccato di superficialità. Con il nuovo millennio, e soprattutto dopo 11/9, la realtà diviene dura per un paese che per la prima volta dopo più di mezzo secolo si sente davvero ferito e in guerra. Lo sfarzo di Orange County non è più l’universo dorato di Aaron Spelling e Darren Star ma un modo per esorcizzare questa paura. La paura del diverso, fosse anche il ragazzo proveniente dal vicino quartiere povero. La paura di perdere la propria agiatezza. La paura che pervade una generazione esasperata nel voler provare ed ottenere tutto e subito, terrorizzata dall’idea di invecchiare, spaventata al solo pensiero di non avere ciò che “gli altri” hanno. La forma di The O.C. è in questo paradigmatica. In poche puntate della prima stagione tutto ciò che poteva accadere è già accaduto. In questo processo di corsa verso il nulla i caratteri in scena perdono profondità, lasciandosi alle spalle introspezione e ricerca interiore. Chi pensa prede tempo. Agire, agire, agire perché nessuno ha un futuro certo.

Sicurezza, speranza, paura. E’ questo il mutamento che caratterizza i teenager degli ultimi vent’anni. Una paura del il futuro ormai incontrollabile che Williamson manifesta nel suo Hidden Palms attraverso un mistero, per un teen drama che si tinge di giallo. Sin dalla sigla di apertura il deserto di Palm Springs appare come una realtà afosa, appiccicosa, invivibile. Il riparo delle palme, il verde dei campi da golf, l’acqua delle piscine o degli irrigatori (che caratterizzano il pilota) non può nulla contro questa desolazione. E’ la metafora di una desolazione interiore che caratterizza i protagonisti di questo serial. C’è chi si nasconde dietro ad una saracinesca, chi dietro alla sua bellezza, chi si cela nei segreti più bui o nei rifugi pericolosi della mente. Nessuno però ha più la forza di affrontare il domani con ottimismo. Strizzando l’occhio a Donnie Darko, con la meravigliosa cinefilia che lo caratterizza, Williamson ricrea un universo falso e misterioso in cui tutti sono soli. Una realtà ormai prossima a quella desolante e solitaria di Evangelion senza neanche una gang su cui fare affidamento. La paura è diventata angoscia.

La serie, non confermata dalla CW, se da un lato riesce nella difficile impresa di rappresentare una generazione in così rapido mutamento dall’altro fallisce nella struttura e nella messa in scena ormai lontana dai gusti dei teenager. Per una generazione frettolosa, che vuol vedere, avere, fare tutto velocemente, fast and furious, i ritmi cadenzati della drammaturgia classica diventano lunghi ed insopportabili. Non si ha più il tempo di presentare scene e personaggi. Non si ha più voglia di riflettere su chi siamo. L’ultima inquadratura del pilota di Hidden Palms, il protagonista fermo sul letto, intento a leggere “Venti poesie d’amore ed una canzone disperata” di Pablo Neruda, stride a confronto con l’ultima scena del primo episodio di Gossip Girl, nuovo teen drama di successo di Schwartz, un tentato stupro. Un confronto che rimanda ad un quadro preoccupante, ad un’immagine allarmante. Siamo lemming che corrono verso il nulla. Saremo in grado di fermarci prima del baratro?



Giampiero Francesca


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