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Americana - Pan Am

Pubblicato il 9 febbraio 2012 da Viviana Eramo


Americana - Pan Am

Se dovessimo definire una delle maggiori spinte che, negli ultimi anni, sembrano alimentare i fenomeni di costume (in senso largo e lato), probabilmente basterebbe la parola nostalgia. Quanto il sentimento nostalgico nei confronti di personaggi, oggetti e modi di pensare del passato (storico) sia sinceramente radicato nelle vite di tutti noi e quanto, invece, sia il prodotto di sofisticate strategie di marketing che abbracciano settori produttivi anche molto diversi, è difficile dirlo. Il piccolo schermo, mai immune dall’essere intercettatore e a sua volta produttore di fenomeni di costume, ha fatto e fa una della parti da gigante nel proporre e riproporre, in termini linguistici e contenutistici, prodotti che vanno esattamente in questa direzione. L’ultimissimo e evidente caso è Pan Am, serie prodotta da Sony e acquistata da ABC, da noi in programmazione su Fox Life. Il fatto che la serie sia ambientata all’inizio degli anni ’60 e che racconti le vicende di un gruppo di hostess e piloti della famosa compagnia aerea americana, sullo sfondo dei piccoli e grandi eventi storici del periodo, è solo la caratteristica più evidente di un prodotto profondamente (e piattamente) nostalgico.

Inutile pensare a Mad Men, che pure guarda agli anni ’60 con una punta di inevitabile nostalgia, ma si eleva a narrazione universale, capace di raccontarci sul presente (dell’America) molto più di altri prodotti che palesemente vi tentano. Pan Am, dal canto suo, chiede al suo spettatore di tuffarsi senza remore in una ricostruzione, attenta al dettaglio, di un’epoca ormai andata e irripetibile. In questo senso, la serie ci invita a gettare e non distogliere uno sguardo affascinato, se non strabiliato, su personaggi e scenari patinati. Le figure delle hostess, bellissime e assetate di un’autonomia che poco più tardi avrebbe alimentato il movimento femminista, sono icone di uno status di vita invidiabile, della meravigliosa possibilità di girare il mondo, in un momento in cui “valicare i confini” non era cosa da poco.

Ma non è tutto oro quel che luccica. Così Pan Am, come nella migliore tradizione, sceglie di raccontarci non solo gli amori e le gioie, ma anche i dolori e i tradimenti di queste quattro donne sempre in volo, nelle cui vite irrompono con più o meno forza i fatti di un momento storico tranquillo (?) solo in apparenza. E allora ecco che Kate (Kelli Garner) viene ingaggiata come spia per captare comunisti più o meno convinti, Colette (Karine Vanasse) è orfana di genitori uccisi dal Nazismo, Maggie (Christina Ricci) intrattiene una relazione con un politico, Laura (Margot Robbie) si ritrova suo malgrado a conoscere la brutta faccia del razzismo dilagante. Eppure è evidente che a prevalere è il ritratto d’evasione, in una ricostruzione che, per quanto ricca di dettagli e accuratezze (soprattutto per scenografie e costumi), non va e non può andare oltre le fattezze di una bella cartolina patinata.

Pan Am, così, non può non apparire decisamente vintage, anche rispetto ad un certo modo di raccontare, lontano dalle “conquiste” della serialità contemporanea. Per quanto, dal punto di vista tecnico (soprattutto fotografico), la serie sembra ripagare per bene gli sforzi economico-produttivi, il tutto rimane abbarbicato ad una vecchissima concezione della narrazione (si guardi l’uso del flashback, per esempio) che lo fa somigliare ad una sorta di “Love Boat dei cieli”. L’intrattenimento prende le fattezze di una visione che mira a riprodurre un’America - pur non senza contraddizioni - florida, produttiva, invidiabile, in cui qua e là emergono nodi irrisolti, utilizzati per colpire unicamente la pancia dello spettatore, con modalità vicine ad una soap opera dal grosso budget. La serie, così, resta un prodotto accattivante e “ben confezionato”, ma fin troppo nostalgico, nell’accezione negativa del termine.


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