Americana – The Unusuals

È un peccato che sia stata cancellata dopo soli dieci episodi questa serie trasmessa dalla ABC, da noi in onda su Sky Uno il venerdì in prima serata. Perché The Unusuals (al quale ci riferiremo solo attraverso il titolo originale, quindi escludendo l’inutile aggiunta italiana, ossia I soliti sospetti...) è un animale un po’ strano, soprattutto nei primissimi episodi, laddove inizialmente stupisce la sua commistione di crime-poliziesco e di commedia: un mix che può lasciare interdetti ma che, col passare del tempo, sa raggiungere un equilibrio e una certa coesione tra le parti.
Creatura del Noah Hawley che aveva precedentemente lavorato al più classico Bones, The Unusuals è puro, interessante e intelligente intrattenimento, un melting pot di generi ambientato a New York, ovvero nella capitale del crogiolo di razze. E proprio in quello che è ancora il cuore pulsante dell’America e dell’Occidente (assieme a Londra, altra metropoli multietnica) si svolgono le vicende della Seconda Squadra del dipartimento di polizia, quel NYPD che ovviamente richiama una delle più importanti serie di finzione nella storia della televisione. E qui vengono descritte le esistenze e il lavoro delle persone più svariate, di detective e persone normali, con l’intento di cogliere gli aspetti più disparati del loro essere. In questo modo si viene a delineare un ritratto della metropoli, fatta di persone e non di palazzi e grattacieli; persone il più delle volte alquanto disfunzionali, fatto perlopiù strano se si considera che si sta comunque parlando di poliziotti. Giacché la struttura base di The Unusuals è quella del Police procedural, virata verso una comicità che a tratti sa divenire una scheggia impazzita, ma che, generalmente, sa donare a quanto viene narrato una leggerezza mai stantia.
Si pensi in particolare alla coppia di detective Leo Banks - Eric Delahoy (interpretati rispettivamente da Adam Goldberg e Harold Perrineau), attori non protagonisti eppure fondamentali, spalla l’uno dell’altro e colonna portante dell’intera serie grazie ai loro interventi tragicomici. Il primo ha un tumore al cervello, malattia che tiene nascosta ai suoi colleghi e che lo sta condannando a morte certa; laddove, se dovesse operarsi, potrebbe rimanere in stato vegetativo per lungo tempo. L’altro, invece, ha mille paranoie e timori (tanto da indossare sempre il giubbotto antiproiettile), legati al fatto che gli uomini della sua famiglia sono morti intorno ai quarantadue anni, età che lui ha appena toccato. È quindi il senso del destino e di una fine cui tendere che tiene insieme i due personaggi, luogo comune qui restituito in modo interessante, al pari della dicotomia tra azione e inazione, tra avventatezza e paure sconsiderate. Giacché il destino può essere beffardo come nel caso della medium nel bell’ep #5 (Partita a scacchi), legata a doppio filo con Eric. Mentre Leo il suo rendez-vous con la morte lo aveva avuto più volte: si pensi, in particolare, all’ep #4 (Senza memoria), nel quale un anziano malato terminale sembra resuscitare poco dopo essere deceduto, cominciando a vagare come uno zombie per la città, dirigendosi verso i luoghi della sua infanzia, in un percorso a ritroso la cui meta sembra essere il raggiungimento della pace interiore.
Allo stesso modo è un ritorno all’innocenza e a un equilibrio quello tentato dal detective Henry Cole (Joshua Close), un giovane molto credente che come suoneria del cellulare ha l’Hallelujah. Però si scoprirà come questi si sia avvicinato alla religione in quanto espiazione per certi peccati commessi dieci anni prima, un reato che si è accompagnato all’avere intrattenuto rapporti con un losco individuo che è riemerso dal passato.
Tanto per citare un paio di serie poliziesche americane giunte in Italia negli ultimi dodici mesi, The Unusuals non è semplicemente hard boiled come il comunque apprezzabile Dark Blue e non si spinge nelle profondità più estreme dell’esistenzialismo al pari dello splendido Southland, ma è un po’ di tutto ciò, trovando una sua particolare cifra stilistica che si rifà all’irriverenza del M*A*S*H altmaniano e, in seguito, televisivo: basti pensare all’ironico utilizzo della voce femminile trasmessa via radio, le cui parole aprono ogni episodio. Tali aspetti non fanno che acuire la sensazione di trovarsi di fronte a un prodotto che, anche con una certa inventiva, si dimena tra classicità e volontà di innovare, tra la ricerca di un equilibrio e la consapevolezza dello squilibrio che regna nella vita, tra un’attenzione verso le piccole cose e un sorriso sardonico. Di certo non si tratta di un corpo nato morto ma, piuttosto, di una cosa viva che avrebbe avuto bisogno di maggiore attenzione attorno a sé.
