Americana - Ugly Betty

Cenerentola ai nostri tempi è anche un po’ sorellastra: non solo povera dunque, ma pure brutta. E il principe azzurro non sarà mai il neo direttore di una grande rivista di moda, per quanto figlio raccomandato dalle scarse qualità gestionali, ma tutt’al più un occhialuto contabile.
Ma quanto è realmente eversivo questo cult di inizio millennio? Poco, a giudicare dalla struttura, dato che l’Ugly Betty statunitense non è un unicum ma un prodotto di serie, un format rimbalzato di nazione in nazione e nato originariamente in America del Sud, regno indiscusso delle telenovele di cui Betty - Yo soy Betty la fea, ammette candidamente il titolo originale - vuol essere parodia e divertita celebrazione.
E così, in luogo delle passioni e delle fortune avverse di protagoniste disgraziate ma aggraziate, si assiste all’unico colpo di fortuna di una fanciulla che invece di grazie è assai sprovvista. Perché, se la bellezza apre tante porte, anche l’essere contro ogni tentazione può essere d’aiuto, specie se è necessario far preferire il lavoro ai love affairs a un neo direttore inesperto ed erotomane.
Questo modello di base viene tradotto e aggiornato secondo i costumi nazionali, dapprima nei paesi di lingua ispanica, per poi trovare definitiva consacrazione grazie alla versione statunitense. Che alle tonalità smorte del parente povero colombiano sostituisce sgargianti colori pop e vira programmaticamente sulla commedia brillante.
Il riferimento all’universo delle telenovele resta confinato al ’piccolo schermo nel piccolo schermo’, messa in abisso del mondo televisivo: nel salotto di casa Suarez tutta la famiglia è irretita dalla telenovela intrigante e passionale interpretata dalla caliente Salma Hayek, che da produttrice esecutiva del progetto si concede più di un cammeo nella prima stagione della serie.
E’ con le nuove puntate che le funeste passioni da teleromanzo varcano i confini del mobile tv per essere assorbite dal tessuto stesso del serial: la seconda stagione triplica addirittura le telenovele da seguire, inserendole nelle story line della famiglia Meade, versione burlesca dei Forrester di Beautiful; in quella messicana dei Suarez, alle prese con il ritorno del misterioso passato del padre Ignacio e il tira e molla sentimentale tra Betty e il suo ragioniere; e infine nella soap dei villain della serie, con la ex perfida Amanda impegnata in una ricerca ‘dickensiana’ della figura paterna, aiutata dal lecchino Mark.
Del resto, il fronte vincente di Ugly Betty non è tanto quello dei buoni, ‘brutti dentro ma belli fuori’ (e in fondo un po’ noiosi) bensì proprio quello di questi bellissimi fanatici della moda, cattivi tutti smorfie e mossette come i malfattori disneyani.
La strega maliarda Wilhelmina - interpretata dall’ex Miss America Vanessa Williams - e la coppia di sottoposti Mark, assistente gay tuttofare e Amanda, biondina sinuosa confinata alla reception, sono il vero punto forte della serie. Capaci di dar vita alle gag più divertenti e fonte di ispirazioni per le critiche più velenose all’impero della moda ossessionato da bellezza ed eterna giovinezza: così nell’episodio pilota troviamo Mark impegnato a fare iniezioni di botulino a Wilhelmina, con una perizia da chirurgo plastico, perché nel precariato che ruota intorno alle grandi cifre nessuna richiesta è mai troppo bizzarra, come insegnava la Miranda Pristley de Il diavolo veste Prada.
Il film con Meryl Streep è un chiaro riferimento ‘culturale’ per Ugly Betty: la descrizione parossistica dell’ambiente della moda si rifà alla pellicola di Frenkel per accentuarne la caricatura; e se nel precedente cinematografico la celebrazione dell’haute couture era comunque presente grazie ai meravigliosi abiti di scena indossati dalla protagonista, vera delizia per tutte le fashion victims, in Ugly Betty i vestiti dei protagonisti sono esasperazioni kitsch dei modelli di alta moda che nessuno in realtà indosserebbe mai.
Oltre al gioco facile dei costumi di Betty - un’America Ferrera osannata da tutti ma in realtà non troppo simpatica - abbigliata come un tendone da circo, irresistibili sono i gilet rosa e fucsia di Mark con cravatta abbinata o il ‘bianco di classe’ scelto dalla megera Wilhelmina e indossato come unica tonalità.
Ma l’elemento più peculiare della versione americana sta nella trama mistery della prima stagione inserita parallelamente al plot principale: un oscuro complotto ordito da una misteriosa donna bendata che finisce poi per risolversi in trovata comica, a conferma della tendenza made in Usa di prediligere per la commedia contaminazioni con il giallo.
I primi episodi della seconda stagione triplicano la posta in gioco. Non solo commedia brillante e sottotrama mistery, ma anche una decisiva strizzata d’occhio al mélo, con un debutto che mescola assai più di prima il dolce e l’amaro: oltre ai soliti ricatti tragicomici, alcuni eventi difficili da sdrammatizzare, come la morte del cognato di Betty, Santos, ucciso durante una rapina o il pericolo di vita in cui incorre il padre Ignacio, su cui si chiude il secondo episodio sembrano alterare pericolosamente gli equilibri della serie.
In parte è davvero così e l’atmosfera, specialmente nel salotto di casa Suarez, si fa decisamente più seria. Ma l’umorismo tagliente e lo spirito sarcastico sopravvivono grazie ai meravigliosi cattivi, irriducibili per la loro aura cartoonesca ad ogni tentativo di umanizzazione proposto dalla sceneggiatura. Per fortuna.
