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Anatomia di un successo: C.S.I.

Pubblicato il 5 gennaio 2007 da Fabiana Proietti


Anatomia di un successo: C.S.I.

Giunto alla sesta stagione, il successo del serial più famoso sulle indagini della polizia scientifica non accenna a declinare.
Anzi, legittimato e consacrato alla fine della quinta serie dall’episodio scritto e diretto da Quentin Tarantino, Grave Danger, CSI sembra aver trovato il perfetto equilibrio tra la costruzione di trame intricate, ricche di suspense e uno sguardo più umano sui suoi personaggi, una cura maggiore nel delineare le loro psicologie.
E’ proprio la riuscita rappresentazione di questa equipe a differenziare CSI Las Vegas dai suoi spin off (Miami e New York) e da molti altri serial legal-polizieschi, volti a raffigurare team di esperti alle prese con la violenza e le morti del nuovo millennio.
I protagonisti di CSI hanno verso il proprio mestiere una dedizione tale da rinunciare a una vita privata, all’affetto di una famiglia. Come moderni eroi tragici accettano il proprio dono con la consapevolezza che sarà anche la loro maledizione.
Sono personaggi drammatici, fieri e dolorosi, la cui solitudine filtra continuamente dalle pieghe della narrazione, contribuendo al coinvolgimento emotivo dello spettatore.
Lungi dal creare relazioni sentimentali tra i protagonisti della serie - fatta eccezione per l’amore negato tra Grissom e la giovane Sara (che conferma ancora una volta l’impossibilità per questi personaggi di aspirare a una vita normale) - e dai facili espedienti con cui spesso gli sceneggiatori “legano” il pubblico alle puntate successive, i creatori della serie hanno destato l’interesse generale tracciando per ognuno dei personaggi un percorso esistenziale che emergesse lentamente nel corso del tempo, giustificando in tal modo le loro reazioni di fronte a casi particolarmente coinvolgenti.
Se Gil Grissom (William Petersen) incarna alla perfezione lo scienziato filosofo, solitario e riflessivo, anche gli altri personaggi sono tormentati da qualcosa, un passato doloroso come per Catherine Willows (Marg Helgenberger) ex lap dancer per necessità, con matrimonio fallito alle spalle, o per Warrick Brown (Gary Dourdan), segnato da un’adolescenza nel ghetto e dalla dipendenza dal gioco d’azzardo; anche la più giovane del gruppo, l’introversa Sara Sidle (Jorja Fox), sembra vittima di un malessere che la porta a cercare consolazione nell’alcool ma che a ben guardare è forse sintomo di un vuoto interiore difficile da colmare.
Solo Nick Stokes (George Eads), eterno bravo ragazzo americano, sembra alieno a sensazioni di questo tipo; ma è proprio lui la vittima predestinata di Tarantino, che lo seppellisce vivo in Grave Danger. In un mondo così tormentato nessuno ha scampo; finita l’epoca dei poliziotti volitivi e granitici, questi tecnici di laboratorio mostrano le ferite della contemporaneità, come nei film corali e “apocalittici” dell’ultimo decennio.
Così carichi di disperazione - ma la forza del serial, ribadiamolo, è il pudore col quale questa affiora nel contesto della detective story - rimpianti e tormenti, i protagonisti di CSI sembrano trovarsi per caso dalla parte della legge; le tante storie di crimini speculari alle loro esistenze sembrano confermare questo sospetto: nessuna coscienza è più vergine, nemmeno quella dei tutori dell’ordine. E, per quanto affannosamente protesi alla ricerca della verità, i protagonisti di CSI ne sono perfettamente consapevoli.


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