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Angeli nella Notte - L’Elementalità di Collateral

Pubblicato il 10 ottobre 2004 da Michela Carobelli


Angeli nella Notte - L'Elementalità di Collateral

Si respira ancora, nella città degli angeli. Nonostante strade e città brulicanti - di gente, auto, macchine, luci - nonostante la precipitazione ipertecnologica e iperrealistica dei sogni, delle grandi e romantiche astrazioni filosofiche. Prima ancora del sangue, del rumore, di qualsiasi lotta per la sopravvivenza. Prima di qualsiasi consapevolezza di appartenenza alla terra. Il respiro come atto fondante; come primaria attestazione della possibilità di esistere. Ci voleva Michael Mann a ricordarcelo. Con la mediazione del respiro si passa da un’esistenza panica e primordiale a una individualità immanente. In questo senso Collateral potrebbe quasi essere la prosecuzione ideale de L’ultimo dei Mohicani; con dentro tutto quello che è stato, prima e dopo, il cinema di Mann, dall’atmosfera notturna di Strade violente alle sofferte dilatazioni temporali di Heat o Insider. In Collateral il mito americano della fondazione idealmente iniziato da Cora e Hawkeye incontra la Los Angeles dei sincretismi, la wilderness delle origini sottesa a uno stratificato sistema di vita e di potere riesce ancora a specchiarsi e riconoscersi, attonita, negli occhi del coyote uscito direttamente dalle ombre della foresta che spaventavano Cora. Lungo una strada, nella notte, il mito dell’angelo della morte (Vincent compare con il calare delle tenebre e muore alle prime luci dell’alba) può prendere per mano altre origini, solitudini dell’infinito, coincidenze astrali. Quasi le stesse, forse, che il regista cerca di catturare nei barbagli delle luci notturne, nei frammenti della colonna sonora ambient, nella scelta di usare la diversa definizione del digitale.
Da sempre lo sguardo di Mann è stato un accurato tentativo di mappatura spaziale di atmosfere e spostamenti d’aria - come quelli che si muovono intorno al sudore di Will Smith o di Russell Crowe - provocati da piccole o grandi azioni, da esitazioni, decisioni. Trattenere il respiro, teso all’ascolto di umori e adrenalina. Ma in Alì e Insider i corpi sono ancora troppo ingombranti, pesano. In Collateral la connessione dei corpi e dell’azione passa invece attraverso le sfumature ritmiche del respiro. Se fosse un elemento, Collateral non potrebbe essere altro che aria. Una brezza sottile e tiepida che raccoglie scaglie di memoria cosmica, ascolta, si sposta, quasi impercettibile, sopra la città. Sempre a mezz’aria tra la sacralità della vita e la precipitazione realistica dell’utopia. Salvo piombare talvolta in folate d’azione improvvise, caotiche. Poi i battiti del cuore si placano e all’alba i polmoni possono di nuovo riempirsi completamente. Continuare a respirare. E più o meno consapevolmente conservare il legame con tutto ciò che viene prima, che ci trascende. Lasciando, allo stesso tempo, una evanescente ma indelebile traccia di sé, nell’etere.

[ottobre 2004]


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