Babycall
Se il regista Pål Sletaune sperava che Babycall provocasse uno shock nello spettatore, bisogna dire che le sue aspettative non sono state vane.
Babycall, film d’autore e di livello, pone sul grande schermo la vita di una donna, Anna, interpretata dall’intensissima Noomi Rapace per la prima volta in un ruolo di fragilità esplicita, che si trasferisce in un nuovo appartamento con il figlio di otto anni, Anders, per sfuggire alla persecuzione di un ex marito violento che non deve sapere più assolutamente nulla delle vite che conducono i due. Anna porta a scuola il figlio pur non accettando l’idea di separarsi da lui. Gli assistenti sociali, che seguono Anna e Anders tenendoli d’occhio continuamente, stanno valutando se sia il caso o meno che il bambino rimanga con la mamma oppure torni con il padre, dal momento che le condizioni mentali della donna sembrano vacillare sempre più…
Attraverso una trovata, quella dei babycall per l’appunto, molto interessante e soprattutto perfetta per essere in linea con il genere del film, a cavallo tra l’horror d’autore e il thriller psicologico, Pål Sletaune riesce a creare, col supporto di un direttore delle musiche che sa senza ombra di dubbio il fatto suo, un’atmosfera pittorica che inquieta, appanna la vista e acuisce l’udito.
Mediante i “walkie talkie” per i più piccoli, Anna cerca di mantenere sempre il contatto con Anders, anche mentre entrambi dormono, grazie alla possibilità offerta dal mezzo di ascoltare l’altro ad una distanza che entri nel raggio di cinquanta metri. Sarà proprio questo babycall a dare inizio ad una serie di terribili interferenze da cui poi scaturirà l’essenza del film.
Molto brava la Rapace, la quale si immerge in un ruolo difficile quale può essere quello di una donna che non sa più percepire il confine, a volte labile, tra apparenza e realtà. I ricordi nella sua mente si confondono con il presente finché ella non sa più cosa sia realmente esistito, cosa si stia verificando nel presente stesso della storia e cosa invece è pura invenzione. Accanto a lei Kristoffer Joner, ormai prima star del cinema nord-europeo, che si cala in un personaggio, Helge, altrettanto complesso. Mentre sta perdendo la madre, ultima sponda della sua vita passata, egli si imbatte nella controversa Anna che proprio sua madre gli ricorda e che desta subito interesse in lui fino a diventare oggetto di una vera e propria indagine emotiva che Helge farà e che porterà a temine sul capezzale di Anna.
La paura subentra: si avverte uno stato d’animo che vaga nell’incomprensione e nello scontro con l’irreale. E, come disse con calma e saggezza lo psichiatra di John Nesh alla moglie di quest’ultimo, nel grandissimo film A Beautiful Mind, “si immagini se tutto quello che ha vissuto non sia stato dimenticato, ma peggio ancora, non sia mai esistito. Che inferno che sarebbe!”.
(Babycall) Regia: Pål Sletaune; soggetto e sceneggiatura: Pål Sletaune; fotografia: John Andreas Andersen; montaggio: Jon Endre Mørk; musica: Fernando Velazquez; scenografia: Roger Rosemberg; costumi: Ellen Ystehede; interpreti: Noomi Rapace (Anna), Kristoffer Joner (Helge, Vetle Qvenild Werring (Anders), Stig Amdam (Ole), Maria Bock (Grete), Torkil Johannes Høeg Swensen (bambino dai capelli scuri); produzione: Turid Øversveen; distribuzione: Normad Film Distribution; origine: Norvegia, Svezia, 2011; durata: 96’; Sito Web: www.babycall-film.no.