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Bellaria 2007

Pubblicato il 8 giugno 2007 da Antonio Pezzuto


Bellaria 2007

Il premio Casa Rossa, che il Festival di Bellaria assegna da sempre, è, dalla scorsa edizione appannaggio del documentario “italiano” più bello. A concorrere quest’anno nove titoli, a vincerlo il più meritevole, Primavera in Kurdistan di Stefano Savona, un racconto che ha come momento fondante sia il viaggio di un mese tra le montagne assieme ai militanti del PKK, sia l’incontro con uomini e donne, emigranti in movimento, che il problema di questa terra lo vivono sulla loro pelle.
Nove titoli, si diceva, su una lista, arrivata ai selezionatori, di oltre 220 titoli, un numero enorme che semplicemente mostra come per parlare di giovane cinema italiano (o meglio di cinema italiano tout court) non si può assolutamente prescindere dal documentario, più che alla televisione, più che alle produzioni che ambiscono ad essere mainstream.
Nove titoli, da Il Mio Paese di Vicari a L’Orchestra di Piazza Vittorio di Ferrente, da Corso Salani (che ha presentato Rio de Onor, viaggio a Tras Montes, una delle regioni più povere del Portogallo al confine con una delle regioni più povere della Spagna) a Mimmo Paladino e al suo Quijote (con Peppe Servillo e Lucio Dalla). E poi, ancora, Il mondo addosso di Costanza Quatriglio, La strada di Levi di Davide Ferrario, Pasolini prossimo nostro di Giuseppe Bertolucci e L’udienza è aperta di Vincenzo Marra: due magistrati e un avvocato napoletani seguiti lungo un “processo alla camorra che resta fuori campo”, dietro ispirazione di Gomorra di Saviano. Pretesto per raccontare una Italia reale e stereotipata che questo reale lo costruisce, ritmato da parole reali, parole che invece in parte mancano al film del quale il Festival celebra il trentesimo compleanno, Forza Italia di Roberto Faenza, realizzato con la collaborazione di Antonio Padellaro, Carlo Rossela e Marco Tullio Giordana, realizzato nel 1977 su materiale di repertorio, un po’ vero un po’ doppiato, uscito all’epoca nelle sale con discreto successo e poi prontamente ritirato dopo solo un mese, a causa del rapimento di Aldo Moro, che di questo film era uno dei protagonisti, come era protagonista di un film dello stesso anno (forse più lucido e visionario) che subì la stessa sorte, ossia Todo Modo di Petri. Espressione di anni diversi, anni nei quali il reale si insinuava nel non reale con forme più brusche e coinvolgenti. Oggi invece, dove tutti parlano della fine della distinzione tra fiction e o fiction, per sapere qualcosa di quello che ci circonda dobbiamo affidarci a YouTube e ai lavori che dall’inizio partono come documentari, e che Bellaria presenta in concorso, e che raccontano di medicine e di industrie farmaceutiche, di carceri e di bambini in carcere, di ragazzini rumeni in case di accoglienza, di donne in guerra, di viaggi aziendali di impiegati sull’orlo della pensione. Argomenti vari, come si conviene, il cui solo punto di contatto è la relazione che si crea tra videocamera e (s)oggetto ripreso, che non è relazione facile e che non sempre si rivela onesta e corretta.


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