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Bellocchio e il viaggio

Pubblicato il 28 aprile 2006 da Sila Berruti


Bellocchio e il viaggio

Un film è sempre un viaggio: nella vita, nella mente, nella storia o nel dolore di qualcun’altro. Un film è un viaggio, alcune volte spaziale, temporale o immaginario. Quelli di Marco Bellocchio sono dei lunghi percorsi che lo spettatore fa, quasi da fermo, senza accorgersi di essere, in realtà, in movimento continuo.
I luoghi mutano sotto la mano del regista, che tende ad interiorizzarli fino a privarli di coordinate spazio temporali. Era gia accaduto ne Il sogno della Farfalla e ne La visione del sabba. Accade ancora con il recente Il regista di matrimoni nel quale la Sicilia si trasforma in una zattera ideale, circondata dal mare e avvolta in una nebbia onirico-mistica.
Non ci si sente mai sicuri nelle mani di un regista come Bellocchio, che trascina lo spettatore in un viaggio dalla direzione ignota. Difficili, se non impossibili, da seguire, questi film costituiscono una realtà a se stante, alogica nel quale il regista crea un universo di significati che hanno valore solo all’interno della pellicola stessa. Bisogna accettare le regole del gioco, senza condizioni ed evitando di farsi domande; semplicemente accettare di partire, fidarsi e lasciarsi andare; perché un viaggio è anche questo: fiducia.
Destabilizzato e privo di punti di riferimento, lo spettatore si trova coinvolto in qualche cosa che forse non è in grado di gestire, ma queste cose nei viaggi accadono. Si perdono, i protagonisti dei film di Belloccio, nel tentativo di liberare se stessi dal giogo che la società ha stretto attorno a loro. Lottano contro paletti mentali, costrizioni e paure borghesi che li paralizzano. Per vincere devono accettare di partire e di perdersi: su di un isola, in una visione o in un sogno. Accettare di essere allontanati e disprezzati. Perché abbandonare tutto sembra essere l’unica soluzione per trovare se stessi. Il regista prende in prestito meravigliosi luoghi, incantevoli scorci di castelli in rovina, antichi paesi, per trasformarli nel non luogo della ricerca, che qualcuno amerebbe definire inconscio. Un passaggio dal particolare all’universale che rivela la grandezza di tutti i grandi autori. _ Dove conduce tutto questo? Difficile dirlo. Soprattutto perché la fine di un viaggio è qualche cosa di molto intimo e soggettivo: si parte insieme e poi si ritorna a casa ognuno con sensazioni e ricordi quasi impossibili da condividere: ma è bello pensare che questo possa accadere solo stando seduti su di una poltrona.


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