BERGAMO FILM MEETING - CONCORSO: GHOST TROPIC
Ghost Tropic è l’opera terza del trentottenne regista belga Bas Devos che avevamo apprezzato nella sua precedente prova intitolata Hellhole presentato a Berlino (sezione Panorama) nel 2019 (http://www.close-up.it/hellhole), e anche questo curiosamente porta la medesima data, il 2019, pensate che la "Prima" questo film la ha avuto pochi mesi dopo alla "Quinzaine des Réalisateurs " del Festival di Cannes, pochi mesi dopo il precedente. A Bergamo arriva dopo una ventina di passaggi in diversi festival internazionali ed è un film che questa ulteriore presentazione la merita poiché rappresenta la conferma di uno stile, lo stile di un autore decisamente incline all’estetizzazione, che predilige un ritmo lento eppur accattivante nel quale lo spettatore dopo qualche minuto riesce comodamente a situarsi.
Il programma estetico di Devos è esposto già nei primi minuti del film, quando la macchina da presa, in campo medio, inquadra una stanza e non si muove mai, ma in realtà la luce cambia e dunque trascorre un’intera giornata, una scena che potremmo definire un time lapse al rallentatore. Su questa scena si innesta, a un certo punto, una voce femminile fuori campo, quella della protagonista di cui fra un attimo faremo la conoscenza che segnala la centralità degli oggetti, l’attaccamento alle cose di una casa nella vita di una persona, una constatazione, peraltro, non particolarmente originale. La dilatazione del tempo prosegue anche nella scena successiva, apparentemente irrelata, ma che in realtà, oltre a confermare lo stile, si rivela un programma, stavolta, caratteriologico. Anche qui, alla dovuta distanza e in mezzo a colleghe e colleghi delle più diverse etnie, vediamo una donna ultracinquantenne, un po’ sovrappeso e infagottata in abiti da lavoro (lavora come donna delle pulizie per una azienda) con i capelli coperti da un hijab, è una donna dai tratti somatici medio-orientali, nel film, che da qui in avanti non la perderà quasi mai più di vista, non sapremo nulla circa la sua origine, ma la immaginiamo turca. Ecco, questa scena, in cui i colleghi raccontano e scherzano culmina in una lunga, lunghissima risata, un po’ di tutti, ma in particolare della protagonista che, malgrado il lavoro non proprio esaltante e la stanchezza della giornata, rivela così il proprio buon carattere e la gioia di vivere.
È solo dopo questo duplice prologo che ha inizio il film vero e proprio che si snoda lungo una nottata e ruota intorno a un unico evento, certamente non tragico anzi per certi aspetti minimalista e che riguarda la protagonista (se non sbaglio il nome non viene mai pronunciato, ma dai credits apprendiamo che si chiama: Khadija): la donna è talmente stanca e nella metro che la riporta a casa si addormenta, finisce al capolinea e non può più tornare indietro, perché quella era l’ultima corsa. Non può prendere subito un taxi perché non ha soldi, deve trovare un bancomat ma non lo trova, solo grazie alla gentilezza di una guardia giurata riesce a entrare in un ATM dentro un centro commerciale, ma il credito è esaurito, opta per un autobus notturno ma si rivela fuori servizio etc etc.
La coatta flânerie notturna di Khadija si rivela così un interessante Stationendrama in cui la protagonista entra in contatto con un significativa serie di personaggi fra loro diversi (un autentico campionario di umanità), sempre mantenendo una cortesia e un’ingenuità che la rendono un personaggio disarmante e in qualche misura anche seducente. Non sono moltissimi gli episodi, le Stationen, incluse in questo film, anche perché Bas Devos, pur allentando in parte l’estremizzazione delle prime sequenze, resta comunque fedele al proprio ritmo compassato, lasciandosi altresì tentare da alcuni scorci meramente documentaristici della città (si tratta di Bruxelles) di notte.
Più debole è l’ultima parte del film, quando una donna che lavora in una stazione di servizio dà, au bout de la nuit, un passaggio a Khadija, la quale anziché farsi ricondurre direttamente a casa, la fa fermare qualche isolato prima avendo scorto la figlia diciassettenne che tira tardi sbevazzando insieme a un gruppo di "giovinastri" e con quel telefono dove ha ricevuto lo SOS della madre rimasta a piedi si limita a farsi i selfie. E Khadija si mette a spiarla. La figlia sarà anche la protagonista della scena finale su una spiaggia non proprio tropicale (giusto per cercar di capire il titolo che resta piuttosto misterioso), la ragazza ripresa di spalle, i capelli al vento e non si capisce se sia da preferire il senso di libertà e di liberazione che questa scena promana o la gentilezza inesausta della madre.
Ghost Tropic - Regia: Bas Devossceneggiatura: Bas Devos; fotografia: Grimm Vandekerckhove; montaggio: Bas Devos, Dieter Diependaele; interpreti: Saadia Bentaleb (Khadija); Maalke Neuville (l’impiegata della stazione di servizio), Nora Dari (la figlia); (produzione: Quetzalcoatl, 1080 Films, Minds Meetorigine: Belgio, Olanda 2019; durata: 85’.