BLACK LIVES MATTER. AND WHITE TOO.
Secondo appuntamento della nostra nuova rubrica dedicata a motion&emotion nel pallone, con un intervento di un amico e collaboratore partigiano. Buona lettura a tutti.
È il giorno dell’Epifania, il sei di gennaio, la Befana. Siamo all’epilogo delle Feste comandate, mai vissute come stavolta in un’atmosfera così inedita. In questo mercoledì dal sapore di domenica, non può mancare certo un turno di campionato, il secondo dell’anno nuovo dopo che la quindicesima giornata del girone d’andata si è svolta solo tre giorni prima. Una ripresa serrata ed inevitabile visto che c’è da recuperare la partenza tardiva di questo autunno con la prospettiva di un calendario da chiudere in tempo utile per preparare adeguatamente l’appuntamento degli Europei a giugno. Quando la nazionale sopravvalutata di Mancini dovrà dimostrare sul campo di valere davvero tutte le aspettative di una stampa forse mai così amica e vicina agli Azzurri. Elemento che contribuisce in maniera decisiva a rendermela ancora di più la nazionale più distante tra tutte quelle che ho conosciuto in quasi quarant’anni che seguo il calcio. Chiude il cartellone della sedicesima giornata Milan – Juventus. Ormai quando leggerete l’articolo saprete già benissimo a chi è toccato il carbone. La partita si svolge in un clima non adeguato al prestigio di un appuntamento così importante. Per le cause oggettive che ben sappiamo, la Scala del calcio accoglie le due compagini pronte a sfidarsi in un’atmosfera metafisica quando invece ben più meriterebbero di essere acclamate da un pubblico festante dalla platea e nei palchi, fino al loggione. La partita ha un sapore particolare per i due mister. Pirlo ha giocato nelle file del Milan gli anni centrali della sua carriera. Pioli faceva parte del gruppo storico della prima Juventus di Trapattoni, e già negli anni Ottanta del secolo scorso dimostrava di avere una certa familiarità con la panchina.
Anche Pirlo in nazionale spesso con il Trap commissario tecnico è partito proprio dalla panchina. Leggere la partita accanto al maestro, in una postazione privilegiata, è una condizione che accomuna quasi la metà degli allenatori della serie A. Anche Conte, Gattuso, Gasperini, Di Francesco, i due Inzaghi e Prandelli sono stati allenati o alla Juventus o in nazionale, almeno una volta, dal Trap. Ben 9 su 20 allenatori della nostra serie A. Una maggioranza relativa quasi assoluta. La metà esatta fino a pochi giorni fa prima dell’esonero di Liverani. La partita vede sfidarsi la capolista Milan contro la Juventus, campione d’Italia le ultime nove stagioni. La squadra allenata da Pirlo manca ancora di continuità. Pirlo è un ottimo primo violino che si trova a dirigere una grande orchestra, che conosce bene perché è proprio quella che ha suggellato la sua straordinaria carriera. In questi primi mesi si alternano per adesso straordinarie letture ad alcune inevitabili stecche. La sinfonia di mercoledì scorso è stata però condotta, nei suoi quattro canonici movimenti, con grande intelligenza secondo questo schema: Andante, Lento, Andante mosso, Allegro con Brio. Consentitemi una nota personale: io appartengo ai tifosi della Vecchia Signora che ama molto gli Allegri.
La serata si apre con il fraseggio Dybala – Chiesa che apre le marcature, quando però nel secondo movimento del primo tempo la Signora cede al Lento, la squadra di Pioli riesce a raggiungere il pareggio con un piattone del talentuoso Davide Calabria. Si va al riposo in parità regalando così al pubblico, inevitabilmente televisivo, rimandi mozartiani di canto e controcanto. Nel momento dell’intervallo durante l’inevitabile zapping ti accorgi che sta succedendo qualcosa di storico. Se la rete ammiraglia della televisione di stato – come tradizione impone - dedica la prima serata della befana all’epilogo del programma abbinato alla lotteria Italia, i palinsesti della televisione generalista sono sconvolti dall’assalto della collina del Campidoglio a Washington. Alla ripresa alterni sempre più spesso nella visione televisione la diretta da San Siro con le immagini gravissime che arrivano dagli Stati Uniti dell’assalto del popolo trumpista alla sede del Congresso.
La seconda parte della sinfonia condotta da Pirlo diventa più granitica nell’esecuzione e nella partitura. Si passa da Mozart a Beethoven. Così queste tonalità più corali, pur annullando le velleità del violino solista, portano la Juventus alla vittoria grazie a questo ritmo vivace e organico. Proprio mentre anche dall’altra parte dell’Atlantico si svolge una pastorale americana. Il destino vuole che a segnare il colpo del KO sia proprio un giocatore statunitense, il primo nordamericano a vestire la maglia bianconera in 125 anni di storia. Un talentuoso ragazzo di colore originario del Texas, lo stato dove Kennedy venne ucciso e dove sono nati i tea party. Il paese del Sud ricco di petrolio e da dove partono i razzi per conquistare lo spazio. Wiston McKennie mette così in buca la palla decisiva del 1-3 che chiude la partita. Ma non è l’unico gol importante di questo nuovo acquisto. Sempre il texano solo poche settimane prima ci aveva regalato uno dei gol più belli di questa stagione a Barcellona, rifilato agli spocchiosi catalani in Champions e così, grazie a quella vittoria importante e decisiva, la Juve si era trovata a chiudere il girone da capolista. “Mc” ha da poco compiuto ventiquattro anni e la sua favola ci dice che ha conosciuto il calcio in Europa, perché qui ha vissuto la sua infanzia con la sua famiglia, per seguire la carriera del padre in servizio presso una base militare in Germania. Un personaggio di cui si sarebbe innamorato un grande intellettuale juventino come Mario Soldati. God bless America! diremmo noi "gobbi".