Il calcio e la vita: Prandelli e Furino
Può capitare, nella nostra inguaribile visione verdissima del giardino dell’altro, di immaginare gli eletti, i pochi ospiti eccellenti del dorato mondo del calcio, come umani non sottoposti alle umane leggi della sofferenza. Di considerarli quasi androidi immuni alla pena e pieni di possibilità. Creature dotate di almeno due potenti motori per volare sopra la vita, dove uno sono i soldi e l’altro è la fama. In realtà la vita ė complessa per chiunque, e la felicità è per tutti un’arte, un lavoro, un’opera da costruire giornalmente con fatica: una condizione mai definitiva alla quale, a volte, nonostante l’impegno e la bravura, nonostante la consapevolezza di quanto appena scritto, bisogna per forza rinunciare. Che il gioco dello stare bene al mondo sia tutt’altro che semplice per ogni uomo, ce lo ricorda la storia recente di Diego Armando Maradona, finito male nonostante fosse il più vicino alla divinità tra tutti i calciatori del pianeta.
Che la vita sa buttare giù i muri del giardino percepito da fuori così confortevole e affascinante, ce lo ricordano tante storie, grandi e piccole, lontane e vicine, come quelle recenti di Cesare Prandelli e Beppe Furino. Il primo, discreto calciatore e bravo allenatore, già in passato dovette rinunciare a una grande possibilità lavorativa per stare vicino alla moglie malata. Fu uomo, grande uomo, prima che professionista eccellente. Mise gli affetti, le relazioni autentiche, le priorità umane davanti al suo futuro lavorativo. Il privato davanti alla carriera, il cuore davanti ai due motori. Ora, molti anni dopo, sente che qualcosa non va dentro di lui. Sente, tornato ad allenare la squadra a cui da tecnico è più legato, la Fiorentina, che traballa la sua anima e che quel giardino ha piante rampicanti e carnivore dalle quali non riesce più a difendersi. Sono sincere le parole di Prandelli, dolorose, di confessione e di velata accusa a un mondo troppo vorticoso e troppo poco romantico, troppo poco umano, troppo poco sportivo, ormai. Sono concetti accennati, aperti all’interpretazione, ma chiari nell’esprimere la sopravvivenza dell’essere umano davanti alla voracità dei nostri tempi, la fragilità dell’uomo di fronte alla complessità della vita. Si tira fuori, Prandelli, lascia, non per vigliaccheria, ma con coraggio. Fa un passo indietro, momentaneo o definitivo, lo dirà la storia, dal peso della vita, dalla verità per cui i giardini solo verdissimi, solo profumati e incantevoli, almeno su questa Terra non esistono.
Ce lo ricorda anche l’altra storia dolorosa di questi giorni, l’altro recente cortocircuito tra calcio e vita, tra campo semantico di questo gioco/sport/industria e povera gente nonostante tutto, sotto il peso delle dure leggi dell’esistenza: quella di Beppe Furino, grande mediano di una Juve ormai lontana, eccellente gregario minuto, instancabile lottatore nel cuore del campo, uomo del sud, del meridione italiano quasi sempre a Torino per motivi diversi dai suoi, negli anni della fabbrica e delle case non affittate ai meridionali. Oggi Furino racconta lo strazio per la perdita dell’amata moglie, per quel Covid che non conosce barriere, che penetra invisibile e tremendo in ogni giardino, quello dei ricchi e quello dei poveri. Teme di essere stato lui a portarlo in casa, e avverte, ingiustamente, un senso di colpa che nasce dal dolore profondo avvertito, provato. Ecco di nuovo la fragilità umana squarciare la pelle degli uomini forti, ecco le storie umane da tenere a mente oltre lo sguardo bambino sugli eroi del calcio senza caducità e crepe, senza dolore. Ecco le storie che prima abbracciamo e alle quali esprimiamo compassione e vicinanza, per le quali proviamo tenerezza e commozione, le storie che poi adoperiamo per vedere il verde che ogni giorno, magari invisibile al primo sguardo, spunta nel nostro piccolo giardino. Le utilizziamo per ricordare alla nostra incapacità di benedire e accogliere il bello che quotidianamente riceviamo in dono, dentro questo viaggio fatto di tempo bello e tempo avverso, che ogni giorno è un terreno attraversato, il cui colore dipende tanto dalla nostra capacità di vedere, di cogliere.
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