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Brancaleone e le crociate a 5 stelle

Pubblicato il 17 aprile 2013 da Alessandro Izzi


Brancaleone e le crociate a 5 stelle

Manca la distanza per parlare di Grillo e del Movimento 5 stelle.
Manca lo spazio per la riflessione, per lo sguardo, per la comprensione.
Probabilmente neanche Roberto Rossellini, poeta intramontabile delle giuste distanze, saprebbe oggi trovare un cantuccio dove piazzare la macchina da presa per registrare, senza grandangolo, le contraddizioni del Reale tra le quali si dibatte, come un pesce fuor d’acqua, il nostro troppo arcaico sistema culturale.
In mancanza di meglio, bisognerà rivolgersi, quindi, alle focali cortissime che deformano, nelle piccole proporzioni dello schermo delle nostre coscienze, il tanto spazio da costringersi nella poca superficie.
A guardarlo da fuori, il Movimento 5 stelle apparirà sformato e sghembo. Aperto alle contraddizioni, ai fraintendimenti, alle incomprensioni.

Del resto, forte della sua sedicente novità, questo partito politico che rivendica ad ogni passo le sue origini altre, basse e condivise, è costretto a rinnovare perennemente il patto che l’ha fatto nascere con le sue origini più umili.
Probabilmente è il partito che più spesso deve rimettere in discussione le sue stesse premesse con la formula abusata delle rettifiche. Anche per non farle scivolare sul terreno viscido del compromesso.
Il suo problema non risiede tanto nel fatto che è giovane e, per questo, poco avvezzo ai giochi di potere e poco capace di parlare, del potere, il subdolo linguaggio, quanto piuttosto nel suo volersi costantemente altro da quel potere con cui pure condivide le stanze, ma non ancora i bottoni.
Il Movimento 5 stelle nasce in seno alla rivoluzione digitale, nasce nella rete, nel luogo della più sfrenata condivisione, nello spazio aleatorio in cui tutti sono uguali e la sua utopia, strana, ambigua, difficile a guardarsi con le lenti dell’analogico, sta nel fatto che vorrebbe riuscire a riportare gli equilibri egalitari degli avatar dei social network anche nello spazio del Reale. Vorrebbe quasi arrivare a dire, paradossalmente, che quel Reale è più vero di questo qua nel quale viviamo, che ha più ragion d’essere, che ha più significato. La sua propensione al virtuale è la stimmate del suo essere, la condizione del suo successo messa a braccetto con il suo fallimento. Perché il suo Reale urta con un Paese ancora analfabeta del fatto virtuale. Urta con un mondo anagraficamente vecchio che ancora soffoca nelle scartoffie della burocrazia e in cui l’informazione è ancora anacronisticamente legata al mondo dei TG di prima serata che parlano del mondo con la lingua del potere dell’informazione prima ancora che politico.

L’Italia è un paese per vecchi, inutile negarlo. La stragrande maggioranza del suo elettorato non va su Internet, ma sul TG5. Non legge libri, figurarsi i quotidiani, segni tangibili di un modo troppo desueto di informarsi scegliendo.
Anzi, la differenza di sistema tra i media informativi sta, forse, soprattutto in questo: il quotidiano lo scegli in virtù dei tuoi convincimenti, è l’informazione preceduta dalla scelta dell’utente; il telegiornale viceversa è l’informazione che viene prima della scelta, ma che lascia lo spettatore nell’impressione di decidere anche se i motivi della sua decisione sono più legati alla confezione che al contenuto; l’informazione sulla rete è invece l’informazione che convive con la scelta e lascia l’utente in un’impressione di infinita libertà, inconsapevole del fatto che la libertà, se infinita, cessa di essere libertà e diventa indeterminatezza.
Il Movimento 5 stelle rivendica il bisogno di essere nella Rete, rivendica l’infinità libertà dell’utente rimarcando, ad ogni passo, come sia questa la vera informazione, la vera libertà e la vera democrazia contro la dittatura dei TG nei quali si identifica il PDL e l’aplomb dei quotidiani coi quali si identifica il PD. Ognuno dei tre partiti ha un bel da fare nel rimarcare che il proprio medium è il più giusto. Nessuno dei tre sembra aver letto abbastanza bene Pirandello.

Il Movimento 5 stelle è figlio delle rivoluzioni culturali della primavera araba. O, forse, più che figlio, un cugino alla lontana che non vorrebbe ricadere nell’errore del parente che ha ceduto alle lusinghe dei potenti contraddicendo se stesso e ricadendo nel nulla di fatto.
Le sue contraddizioni stanno nei danni dei decenni precedenti. È un movimento che si vuole giovane, ma nasce in una generazione cui la scuola ha disinsegnato quanto più ha potuto. Sta (o dovrebbe stare) al governo, ma i suoi componenti non sanno nulla di Costituzione perché l’Educazione civica a scuola è sempre stata un’ora da saltare in allegra compagnia. Chi si stupisce del paradosso dovrebbe, però, chiedere a parlamentari di più lungo corso e di altre formazioni politiche cosa sanno di Costituzione. Non sarebbe contento delle risposte perché sono la dimostrazione che anche in questo i figli del movimento sono figli di un’Italia nata, come la Costituzione, sulle rovine del compromesso. È l’Italia che abbiamo costruito: di che ci scandalizziamo?

I ragazzi del Movimento 5 stelle che sognano giovane avversano la televisione non perché ne capiscano fino in fondo i subdoli linguaggi (anche questo la scuola non l’ha mai insegnato per precisa scelta politica), ma perché lo vedono già vecchio.
Sono le pezze di una nuova crociata che aspira all’oltre, che pensa giovane, che vuole giù tutti i vecchi Pantalone. È, in fondo, la rivoluzione di sempre con vestiti nuovi quando l’imperatore resta sempre nudo.
E, in fin dei conti, quando guardiamo Grillo con Casaleggio che arringano le folle il primo con gigioneria, il secondo dal suo rifugio d’ombra e nel silenzio, ci sorprende l’assonanza di questi personaggi con quelli di fantasia dell’Armata Brancaleone. Partono anche loro per una crociata che prima che politica vorrebbe essere culturale il che la rende ancora più utopica dal momento che deve confrontarsi con i danni di un trentennio di dominio televisivo.

Come nel vecchio film di Monicelli la rivoluzione è quella del senso comune, dell’italiano medio che riscopre, decenni dopo la stagione della Commedia all’italiana, quanto questa medietà sia mostruosa. E viene il magone a pensare che Pasolini e Monicelli sono passati invano se la scoperta, alla fine, resta sempre questa e se i discorsi di allora restano attuali anche adesso. Altro che pensare giovane!
Lo sguardo d’insieme spaventa e sgomenta. La fame di rivoluzione dura, ma non troppo. In Italia le teste non sono mai volate come in Francia e la paura è che tutto questo sia, com’è già stato altrove e forse peggio, molto rumore per un lavoro di tappezzeria a cambiare la stoffa delle poltrone. Sarà anche per questo che i cugini d’oltralpe spendono molto più di noi in cinema e scuola. La vera rivoluzione dovrebbe, di fatto, nascere proprio qui: insegnando a tutti che la rete è certo un mezzo potentissimo, ma solo se chi la naviga è stato dotato prima di una bussola.



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