X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Venezia 71 - Conversazione con Fabio Nunziata, montatore di "Pasolini"

Pubblicato il 6 settembre 2014 da Fabiana Sargentini


Venezia 71 - Conversazione con Fabio Nunziata, montatore di "Pasolini"

Fabio, tu che oramai lo conosci da anni, dimmi una cosa tra me e te: com’è Abel Ferrara? Questa è la prima cosa che si chiede chi non lo conosce di persona e lo vede da fuori, come personaggio pubblico.

In tutti questi anni ho ascoltato molte leggende sul conto di Abel, quasi sempre lontane dalla realtà. Per la mia esperienza Abel è una persona speciale, fuori dall’ordinario, dotata di una sensibilità estrema che gli permette un’empatia profonda con le persone e con il mondo che ha intorno. Questo naturalmente comporta per lui anche una continua sovraesposizione emotiva. Comunque sia, è quel tipo di persona che, in qualsiasi contesto si ritrovi, genera intorno a sé un’atmosfera diversa, un po’ magica, appunto speciale.

Com’è lavorare con lui? Come ti ci trovi?

Mi piace molto lavorare con lui - mi piace la sua idea di cinema per cui fare i film non è un lavoro ma un’esperienza di vita in cui immergersi completamente; mi piace perché è un maestro del linguaggio e mi spinge continuamente a superare i miei limiti; perché protegge e difende la libertà del nostro lavoro a tutti i costi; perché l’argomento dei suoi film non è mai facile e ogni volta mi costringe ad affrontare qualche aspetto importante dell’animo umano - e altri motivi ancora.

Il montatore solitamente arriva che i giochi sono più o meno fatti, quanto il tuo apporto può modificare le sorti di una pellicola?

Il montaggio di un film normalmente è frutto di una collaborazione tra il regista e il montatore, e ogni collaborazione ha un suo equilibrio. Quindi forse è più giusto parlare di montaggio. Il montaggio in un film è un momento molto importante della parte creativa del lavoro - più che a giochi fatti mi sembra che a arrivi a metà dell’opera. E’ il momento in cui si devono ricostruire i meccanismi che provocano in noi le emozioni o l’intuizione di un significato.
In questo senso, anche se in misura diversa a seconda del tipo di film, il momento del montaggio è sempre determinante e credo che questo valga in genere per ogni forma di audiovisivo, dal telegiornale alla videoarte.

Sei un montatore anomalo, arrivato al montaggio dopo una doppia esperienza di regista in trio (con massimo Gaudioso e Eugenio Cappuccio ne Il caricatore 1995 e ne La vita è una sola 1998): quanto e come pensi questo condizioni il tuo modo di lavorare?

In verità io sono nato con il montaggio, che ho scoperto al CSC nel 1985 con Roberto Perpignani, e da allora questa mia passione, questa mia attività non si è mai interrotta, neanche durante il sodalizio con Cappuccio e Gaudioso. Sicuramente l’esperienza da filmaker che ho condiviso con loro mi è stata utile - la scrittura la regia la recitazione sono elementi con cui ci si confronta continuamente nella costruzione di un film al montaggio, e averli conosciuti dall’altra parte, da vicino mi ha sicuramente aiutato capire meglio il mio lavoro. Tuttavia non credo assolutamente che siano esperienze necessarie per poter essere un buon montatore.
Posso dire solo che in tutti questi anni ho avuto un mio percorso personale nel rapporto con il montaggio e il cinema che ancora continua, che ancora mi appassiona.

Che metodo lavorativo hai con Ferrara? Applichi lo stesso metodo con tutti i registi o vari ogni volta?

Con Ferrara uso lo stesso metodo che uso con tutti gli altri registi - cerco di capire cosa hanno in mente, cosa vogliono dal film, e cerco di realizzarlo nel miglior modo possibile. Con Abel ho passato molto tempo al montaggio negli ultimi dieci anni, dunque c’è un’abitudine e un’intesa che rende questo processo per alcuni versi più facile e immediato. Sicuramente per lui la fase del montaggio è un momento che riveste una particolare importanza, durante la quale porta a termine, spesso cambiandolo stravolgendolo reinventandolo, il lavoro di scrittura del film.

Ti piace andare su set durante le riprese o preferisci essere sorpreso dal materiale senza saperne niente?

Mi piace il fatto che il montatore è in qualche modo il primo spettatore del film, perché in genere il suo sguardo è nuovo rispetto al materiale girato, quindi libero da condizionamenti emotivi diretti, e questo è a mio avviso un fatto utile e positivo. Ma con alcuni registi esistono collaborazioni che partono dalla sceneggiatura, e continuano durante le riprese, come mi capita appunto con Abel per quello che è il suo modo di intendere il montaggio. In questo film ho potuto seguire la ricerca e la scrittura del film fin dall’inizio e questo mi ha aiutato molto a trovare subito la forma e la struttura del film, che sono abbastanza complesse. Dal punto di vista dello stile, è stata molto utile anche un esperienza di videoarte, dei film brevi a cui abbiamo lavorato durante la sceneggiatura di Pasolini, nei quali abbiamo fatto un po’ di nuovi esperimenti sulla struttura e sul linguaggio.

Che fonti sono state usate per questo film su un personaggio così chiacchierato come Pasolini?

Ferrara e Braucci hanno incontrato tantissimi tra quelli che hanno conosciuto direttamente Pasolini sotto vari aspetti della vita - ho potuto partecipare anch’io a molti di questi incontri, e sono testimone di una scrupolosa e appassionata ricerca. Ma man mano che la ricerca è andata avanti diventava sempre più chiaro però che ciò che interessava ricostruire non erano le indagini sulla sua morte o altri elementi della realtà che lo circondava. Quello che vuole raccontare il film è la verità umana di un uomo straordinario; tenta una breve esplorazione della sua anima, del suo mondo interiore, verso un’astrazione che fa della sua storia quasi il racconto di un Mito. In effetti Pasolini è ormai in qualche modo una Divinità nel nostro immaginario, nel nostro tempo.

Dimmi cosa pensi della performance attoriale di Dafoe?

Non mi è neanche possibile immaginare questo film senza Dafoe. In qualche modo lui è il film, ne incarna profondamente l’essenza. La sua interpretazione è precisa e profonda, particolarmente ispirata - sciamanica mi verrebbe quasi da dire per la capacità che ha di evocare Pasolini, di portarci nel suo cuore nel suo mondo. Mi colpisce molto come il personaggio sullo schermo sia così fortemente Pasolini, e allo stesso tempo è così fortemente Willem e Abel insieme.

Nel montaggio ti sei attenuto ad una continuità temporale realistico-narrativa? Che indicazioni ti ha dato il regista?

Come dicevo il film mischia eventi reali e il racconto del suo mondo interiore, e attraverso il corpo e la voce di Willem/Pasolini va a cercare questa verità umana nelle sue ultime 24 ore ma anche nei suoi pensieri, nei suoi scritti, nelle sue opere. Quindi la continuità non è mai diretta e nel racconto della realtà si inseriscono le sue lettere e le sue interviste, di cui aveva fatto un vero genere letterario; la rappresentazione di momenti del libro che stava scrivendo, della sceneggiatura del film che avrebbe realizzato.
La parola di Pasolini è dunque molto presente nel film e una buona parte della colonna sonora è composta da brani che lui stesso ha usato nei suoi film per esprimere determinati sentimenti. Ne viene fuori un film molto particolare, irregolare nella struttura, astratto e reale, freddo e al tempo stesso molto emozionante. Inutile dire che ho amato e amo molto questo film.
Abel ci ha coinvolti e ci ha guidati tutti in questa avventura, portando avanti il film con forza e senza compromessi, cosa che sono sicuro che Pasolini avrebbe apprezzato molto.
Vorrei solo aggiungere che in questo lungo viaggio intorno al pianeta Pasolini, continua ancora a colpirmi profondamente il sentimento di attenzione e affetto, di rispetto e amore che quest’uomo straordinario ha lasciato nel cuore e nella mente di così tante persone, e non solo in Italia. E’ questo il sentimento che ha animato anche tutti quelli che come me hanno lavorato in questo film.


Enregistrer au format PDF