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Delitto e castigo per la regia di Francesco Giuffré

Pubblicato il 19 maggio 2010 da Laura Khasiev


Delitto e castigo per la regia di Francesco Giuffré

Portare a teatro Delitto e Castigo di F.Dostoevskij è, di certo, un progetto ambizioso. Il regista Francesco Giuffré ha voluto affrontare questa sfida, mettendo in scena al teatro Argot questo che è uno dei più grandi capolavori della storia della letteratura mondiale. Lo spettacolo, andato in scena dal 13 al 25 aprile, riporta alla nostra mente tutto lo splendore dell’Ottocento russo.
Nekrosius ci aveva provato con Anna Karenina di Tolstoij e con L’Idiota dello stesso Dostoevskij, Vacis aveva, invece, tentato la strada di Zio Vanja con risultati ovviamente diversi visto che il testo era già in partenza concepito per il teatro e visto che il regista lituano difficilmente riesce ad avere pari nel mondo teatrale, dove finora ha lasciato il segno con dei veri e propri “capolavori”.
Al di là di considerazioni culturali legate al romanticismo russo è da dire che, comunque, scegliere di trasporre in forma teatrale romanzi di tale grandezza (come nei citati casi di Nekrosius) è sempre rischioso per chi mette in scena. Per chi scrive, invece, non ha molto senso fare confronti tra testo di partenza e spettacolo, quanto piuttosto analizzare e riflettere su ciò che si è visto e su quello che ci ha potuto lasciare.

Giuffré ha fatto delle scelte ben precise e ha costruito una scena intrigante costituita da pochi elementi: nomi dei personaggi appesi al muro, qualche sedia e una luce sempre abbastanza bassa. In questo modo è stato possibile ricreare l’atmosfera che siamo soliti trovare in Russia, un paese molto lontano dal nostro non solo per distanza, ma anche per usi, tradizioni e modo di pensare.
Difficilmente in Italia si sono visti spettacoli su vicende legate a questo merviglioso e controverso paese, che ricreassero una dimensione così vicina a quel luogo, apparentemente povero, dietro al quale però si trovano una ricchezza e una suggestione enormi, che solo vivendolo si riescono a cogliere.
La struttura ellittica conferita alla vicenda dall’adattamento di Giuffré, coadiuvato dalla scrittura di Riccardo Scarafoni, sembra ben adattarsi alla versione scenica dell’opera. La bravura degli attori ha inoltre catturato il pubblico in maniera totale, trascinandolo completamente dentro la storia anche grazie alle note, ricreate dall’originale musica per piano di Gianluca Attanasio.
Lunghi sospiri ansimanti, alternati a battute poetiche e pregne di quel contenuto tipico della letteratura russa, una trama semplice, che racchiude in sé la vita di gente umile, aggrappata disperatamente ad un esistenza labile, persone corrose dal dolore, che però affrontano ogni difficoltà pur di vedere come va a finire lo “spettacolo” del loro vivere: questi gli ingredienti della riuscita dello spettacolo.

Tutta la vicenda ruota attorno a Raskol’nikov, responsabile del delitto della vecchia usuraia, a scopo di rapina, da cui poi l’uomo avrebbe voluto trarre soldi per darli ai più bisognosi. La circolarità conferita al racconto è evidente in ogni segno scenico, coerenza costruita in maniera dettagliata, che regala allo spettacolo un grande fascino. Il senso di colpa si impossessa del nostro assassino, il tormento si disegna sul suo volto, intrecciandosi ai chiaroscuri creati dall’effetto delle luci, un dolore lacerante, che ricorda quello del Macbeth shakespeariano, così forte da insinuarsi anche nella mente di chi è davanti ad assistervi, rievocato persino attraverso gli oggetti, una pietra come simbolo di una pesantezza che grava sull’animo, il fango che fa pensare al macchiarsi dello spirito, la sabbia che ci rimanda alla fugacità di ogni bene terreno. Nulla sembra poter salvare Raskol’nikov dal suo tormento finchè egli non incontra la giovane Sonja, pura nell’animo tanto quanto macchiata nel corpo, prostituta che si concede per mantenere la famiglia. Le scene di sesso di cui è protagonista eludono dalla volgarità nella quale avrebbero rischiato di cadere, raccondando invece il vero dolore, la disperazione che avvolge la vita della ragazza, affliggendola in una situazione nella quale si sente soffocare. Sporcata di fango sul suo corpo, come segno di una macchia che lascia impresso il peccato, ma che può pur sempre andar via, lavato via dalla pelle freneticamente con l’acqua. Eppure anche per lei l’incontro col giovane assassino è significativo, entrambi sono relegati in una condizione di colpa, a causa però di atti compiuti per necessità, lui avrebbe preso i soldi per darli ai più poveri, lei avrebbe dato il suo corpo per sostenere i suoi familiari. Nessuno dei due riesce a riscattarsi completamente e la loro condanna è segnata dal colore scuro che pervade la stanza in ogni angolo, impossessandosi dello sguardo degli spettatori e imprimendosi nell’anima di questi come qualcosa di indelebile... E indelebile è il segno che lascia questa rappresentazione, curata nei dettagli, poetica, trascinante e tormentosa. L’acqua nel secchio è il segno della purezza di Sonja che non viene portata via nemmeno dalle “macchie” che incidono la sua vita di dolore. Tra questi due personaggi si incastra la scelta di Dunja, che per aiutare suo fratello Raskol’nikov, accetta di sposare il facoltoso uomo d’affari Pëtr Petrovič Lužin. La donna rivela la notizia stando di spalle, leggendo una lettera, come se corpo e parole fossero incatenate a quella decisione che tanto le pesa, ma la porta comunque avanti come un sacrificio a fin di bene, evocando una commozione nello spettatore ormai immerso nella complicità con i personaggi. Gli attori disegnano le scene attraverso i gesti e anche gli oggetti parlano, sembra di essere racchiusi in una dimensione dove tutto è in armonia, ad ascoltare una storia che non parla solo di un delitto e delle sue conseguenze, ma che rivela grandi verità sull’animo umano, mai libero dal peccato.

La sfida di Giuffré può dirsi vinta, se concepiamo il teatro come qualcosa che deve porre questioni su cui riflettere, che deve stimolare il pensiero anche quando il sipario cala. Ciò che resta è come quella sabbia che continuamente viene passata a Raskol’nickov dai diversi personaggi, come metafora di oggetti, che siano soldi o altro. La scelta di questo materiale regala ulteriore vigore alla messa in scena e ci fa riflettere sia sulla storia, che sul teatro in generale perché, così come questa vicenda, la sabbia può assumere ogni forma, ma soprattutto è sostanza sottoposta a metamorfosi, può assumere consistenza corposa, ma può anche disperdersi a tal punto da non lasciare traccia se non sottoforma di granuli sparsi, e non è forse questo lo svolgersi della funzione teatrale?


(Delitto e castigo); Regia: Francesco Giuggfré; drammaturgia: Fëdor Michajlovič Dostoevskij ;adattamento: Francesco Giuffré, Riccardo Scarafoni; interpreti: (Livia Alcade), (Alfredo Angelici),(Massimiliano Benvenuto), (Massimiliano Mecca), (Marta Nuti); teatro e date spettacolo:Teatro Argot 13-25 aprile


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