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Dialoghi con Leucò

Pubblicato il 12 marzo 2009 da Valentina Casadei


Dialoghi con Leucò

Roma, Teatro Vascello. Omaggio alla figura di Cesare Pavese in occasione dell’appena trascorso centenario della nascita (1908), I dialoghi di Leucò, che del loro autore rappresentano la più consapevole e diretta riflessione sui temi della sua poetica intera, si presentano sul palco del Teatro Vascello introdotti dalle parole che Pavese stesso volle premettere alla prima edizione del libro (1947): una dichiarazione di intenti, una premessa a quei suoi "dialoghetti" (come affettuosamente li definiva), che andavano a scavare le fondamenta dell’essere uomo indagando quel sostrato comune che ristagna nel mito, il pubblico terreno dove ognuno muove i suoi passi, il mare di cui ogni uomo conosce l’onda, la montagna che esiste e resiste aldilà del tempo. Una voce rimanda le parole di Pavese mentre sul bianco accecante che ricopre le superfici della scena scorrono, ora lente ora fuggevoli, le scure ombre di uomini e donne; si espandono e contraggono e pulsando, in questo mutare continuo di forme, sembrano parlare di forza e impotenza, della condizione umana. L’uomo e le sue paure e gli esorcismi contro di esse, dal volto soprannaturale e divino; l’uomo e le sue proiezioni sulle cose, l’ansia del destino e del nome, che protegge e rende umano, che innalza le cose dal loro informe essere, e le rende divinità; il mortale e l’immortale, tutto ciò di cui parla Pavese in quest’opera che avrebbe inizialmente voluto chiamare Uomini e dei, si fronteggiano attraverso i personaggi del mito greco, che ne sono solo i mirabili exempla, validi per tutti e a tutti noti, territorio in cui cercare quel “segreto di qualcosa che tutti ricordano, tutti ammirano un po’ straccamente e ci sbadigliano un sorriso” [3]

Manuela Kustermann e la Fabbrica dell’attore di questo corpus di 27 dialoghi, ne hanno selezionati sette interamente riproposti (I ciechi, Il fiore, Schiuma d’onda, L’inconsolabile, L’isola, La vigna, Il mistero) più un frammento della conclusione de Le streghe, dialogo tra Circe e la Leucotea che dà titolo all’opera: poche, bellissime parole, in cui vengono toccati tutti i nodi che compongono i Dialoghi, poi ripresi secondo diversi punti di vista e varie argomentazioni: la vita e il tempo e il destino, il nome e il ricordo.

Tutto è parola, parola sopra ogni cosa e lo spettacolo sembra svolgersi soprattutto nella caverna della mente, aperta alla riflessione, all’analisi del se stesso che ogni lettore-spettatore ritrova allo specchio nei personaggi del mito. La forte schiettezza della parola di Pavese è tale che non dispiacerebbe abbandonarsi ad essa sola, chiudendo gli occhi e immaginando il proprio spettacolo interiore. Per fortuna il condizionale rimane lo specchio di un’ipotesi sfiorata, perché la Kustermann, pur con una regia essenziale e silenziosa, e forse soprattutto per questo, ci permetti di cogliere e meditare il senso, creando un’atmosfera più che un mondo di immagini, creando una culla per lo spettacolo dei sensi a venire: spettacolo di cui ci rimane l’impressione di colori che riflettono sulla bianca atmosfera, lieve fragore di oggetti spostati, flussi e riflussi di tonfi, di corpi che cadono, che vivono, ancora e ancora. Essenziale ed elegante spettacolo che ha il merito di riproporci un tuffo nel genio di Pavese, un tuffo in un mondo di uomini e dei che ci guardano e ci riguardano, che a volte è spiacevole confessare, che a volte è necessario riconoscere.


Da Cesare Pavese adattamento di Giancarlo Nanni e Cristina Kustermann

Regia:La Fabbrica dell’Attore; interpreti: Manuela Kustermann, Sara Borsarelli, Graziano Piazza, Alberto Caramel, Gaia Benassi.


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