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Ditegli sempre di si

Pubblicato il 2 aprile 2009 da Valentina Casadei


Ditegli sempre di si

Roma, Teatro Quirino - Il teatro di Eduardo De Filippo è un sostrato pubblicamente condiviso da uomini che il teatro lo guardano e lo fanno; è un’idea, un concetto dalla polimorfa definizione che passa lungo le decadi in narrazioni e visioni, dove per lo più trova casa il ricordo commosso. Il teatro di Eduardo, nella memoria di chi lo ha vissuto, di chi lo ha contemplato registrato, di chi lo ha gustato narrato, si frantuma in teatri diversi, contigui o lontani: teatro di un corpo che si muove, palesando la sua vita interna, articolandosi, artefacendosi; teatro sentito, origliato come i piccoli fatti della vita, come concerto di voci, di intonazioni anche sconosciute, che universalmente vengono comprese; il teatro, inoltre, dei suoi copioni e dei suoi testi, il teatro di una drammaturgia perfetta. Il teatro di Eduardo è diventato memoria perché in esso queste visioni si sintetizzano, vengono intessute, si fanno testo. Quel che rimane oggi, aldilà del video, è l’esperienza teatrale che matura nello scarto tra copione, pre-testo, e testo edito e saggiamente disteso. Testi il cui valore di autonomo oggetto d’arte è indiscutibile, ma così densi di espressione possibile, questi testi attendono, in cerca d’attore, nuova vita, nuova creazione. Sono testi che meritano, in quanto drammaturgie limpide ed efficaci, di trovare fama e gloria, lontano dal nome del loro grande autore e padre. Geppy Gleijeses ha mestiere e sicurezza sufficienti per affrontare sfide simili e in più il vantaggio di un’esperienza diretta, la tradizione eduardiana spiata da vicino, come attore vicino al grande De Filippo, come regista poi.

Ditegli sempre di si, commedia "dei giorni pari", e come tale vicina alla pochade e ai modi del primo teatro di De Filippo, così legato all’eredità teatrale paterna, è un gioco serio sul tema, abitualmente teatrale, della pazzia reale o presunta, nascosta, accettata o negata dalla società, da un mondo che va alla rovescia, come viene sottolineato, tautologicamente, dalla scenografia. Ditegli sempre di si è un grande esempio di quella capacità di far riflettere ridendo che tingeva anche le opere più spassose di Eduardo di tinte chiaroscurali. Gleijeses ne è consapevole, e spinge come sa e può su ambo i pedali, staccandosene e rimaneggiando il testo di Eduardo. E questo è il coraggio che non rende inutile la sua operazione, il coraggio che lo rende all’altezza della sfida: creare qualcosa aldilà del capolavoro dato. Forse è superfluo specificare, perché allora dovremmo gridare al miracolo, che la sfida non è vinta se non in parte: lo spettacolo messo in scena da Gleijeses non regge fino in fondo il compito di ricreazione, perdendosi proprio nella scelte coraggiose, quelle che lo portano a premere un po’ troppo tra gag e morali esplicite.

Ditegli sempre di si è stato pubblicizzato come spettacolo capace di suscitare facili risate: in effetti il pubblico ride, acclama gli attori al solo entrare, omaggia il talento o forse la fama, riscopre modi di fare, spiacevoli, d’altri tempi. Un primo successo è garantito, e non solo commerciale. Questo ci preme specificare: un teatro che sa conquistare il suo pubblico, qualunque esso sia, è riuscito ad instaurare una comunicazione, dialogo, attesa, contatto; è riuscito, cioè, a rispettare la sua essenza di luogo di scambio e comunione. Geppy Gleijeses e il suo pubblico costituiscono una realtà felice, una parte fiera dell’altra, una parte fiduciosa dell’altra. Ciò che è davvero eccezionale in quello che con Ditegli sempre di si Gleijeses presenta al suo pubblico fiducioso, è un modo di essere attore diverso per quel pubblico, per quel mondo: è l’esperienza che il figlio Lorenzo ha conquistato in viaggi e studi in universi distanti da quello di partenza, l’esperienza di chi ha seguito Eugenio Barba e il Workcenter di Grotowski, di chi ha avvicinato Karpov e Nekrosius; l’esperienza che brilla e si palesa, che non passa inosservata in lui nel ruolo dell’attore Luigi Strada, che vuol dare prova delle sue doti d’attore, e piange e grida e si dimena che pare Cieslak e il suo principe costante. Un sapere che deve crescere, maturare, affinarsi ma che già schiarisce il grigiore del futuro di teatri assopinti dal loro stesso successo e stupisce positivamente un pubblico a tal mestiere piegato.

Ma quel che rimane, ancora una volta, quando il sipario è chiuso, le poltrone si svuotano, e si ritorna verso casa, ricordando le risate, ripensando agli attori,discreti o molto bravi(e una menzione va a Cannavacciuolo, nei panni che furon di Titina, oltre, naturalmente, ai due Gleijeses), ricordando le pareti, il palco e i suoi girasoli, ciò che rimane girando intorno alle cose è ancora una volta l’eco di una voce che al rileggere le sue parole si avverte ancora, incrostata lì sopra. Quel che rimane è ancora la parola viva di De Filippo.


Autore: Eduardo De Filippo; Regia:Geppy Gleijeses; Interpreti: Geppy Gleijeses, Lorenzo Gleijeses, Gennaro Cannavacciuolo, con la partecipazione di Gigi De Luca; Scene: Paolo Calafiore;Costumi: Gabriella Campagna; Musiche: Matteo D’Amico; Luci: Luigi Ascione


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