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Dogville: Gli occhi addosso, Anatomia di Grace/Nicole

Pubblicato il 19 dicembre 2003 da Fabrizio Croce


Dogville: Gli occhi addosso, Anatomia di Grace/Nicole

“Non senti degli occhi che girano intorno al tuo corpo? E i tuoi occhi non cercano fuori le cose che vuoi?”. Con queste parole il dott. Hannibal Lecter mette in scacco la povera Clarice M. Starling, costringendola a ridefinire la sua comprensione della realtà in funzione di una soggettività dettata dalle proprie intime pulsioni, ne Il silenzio degli innocenti, una delle più sconvolgenti riflessioni sul rapporto tra rappresentazione e percezione. E intorno a questo concetto si snoda anche l’Odissea di Grace attraverso Dogville, la nuova tappa della personale Odissea di Lars Von Trier attraverso le possibilità del linguaggio cinematografico e la sopportabilità fisica e psichica della Donna, concepita come interprete, icona, archetipo, corpo plasmabile da cui parte e intorno a cui orbita, per poi morire, la visione. Probabilmente nessuna attrice più di Nicole Kidman avrebbe potuto prestarsi, semplicemente facendo il suo ingresso nell’enorme piattaforma teatrale allestita a set, alla completa decodificazione e spoliazione davanti all’occhio della mdp: la bellezza, mitizzata dall’apparato divistico, sembra quasi stanca, sbiadita, esposta pacatamente nel suo lato più deteriore, come se Grace in realtà fosse già stata violentata e provenisse da un’altra Dogville; lo sguardo assente, perduto, lontano, è rivolto sempre verso qualcosa che sta oltre la rappresentazione della cittadina e dei suoi abitanti, e proietta, anticipa, fa intuire gli spostamenti sul palcoscenico-scacchiera; il corpo segue la partitura meccanica dei gesti e delle azioni compiute e subite da Grace, in una straniante scissione dai pensieri e dalle emozioni. Ad un primo livello Dogville sembra un documentario su Nicole che interpreta Grace, un work-in-progress di un’attrice calata in una dimensione a lei estranea ed ostile e da cui esce con una nuova consapevolezza delle sue possibilità. è il testo stesso ad offrirsi a questa lettura, con Grace (la Kidman, il nuovo divismo rampante) che, accolta con scetticismo e poi vessata e sfruttata con ferocia dagli incattiviti cittadini di Dogville (la vecchia guardia dello star-system americano ed europeo incarnata da Lauren Bacall, Ben Gazzara “cieco”, James Caan, Harriett Andersson, ma anche facce emblematiche del cinema indipendente come Chloe Sevigny, Patricia Clarkson, Blair Brow, Stellan Skarsgard), muta il suo cattolicissimo e un po’ masochistico spirito di devozione e sacrificio verso il prossimo (il totale processo di identificazione nel personaggio secondo le regole del Metodo Strasberg alla ricerca di una più profonda verità emotiva e psicologica) in una razionale e impietosa ridefinizione del concetto di bene e male, misericordia e castigo, vendetta e giustizia (l’acquisizione di una tecnica recitativa di stampo brechtiano nell’interpretazione del ruolo in chiave critica e dialettica). Da qui si passa ad un ulteriore livello della rappresentazione, dove ancora una volta è l’autore, stavolta più sarcastico mediatore che mistico demiurgo, ad organizzare il materiale filmico e narrativo. Potremmo dire che Von Trier, interpretando Nicole Kidman che interpreta Grace, arriva a creare l’universo di Dogville e a sintetizzare in esso le sintassi di vari linguaggi: il teatro didattico e il racconto filosofico-morale, il cinema e il meta-cinema, il documentario e l’allegoria, lo psicodramma e la black comedy. E la mediazione è possibile proprio per mezzo di Grace/Nicole, il motore propulsivo del racconto e delle forme in cui è espresso. I personaggi che la circondano prendono vita ogniqualvolta interagiscono con lei, si muovono nello spazio a seconda della sua posizione nell’inquadratura, e, a sua volta, Grace/Nicole “dialoga” con Von Trier, che la bracca con una serie di estenuanti piani-sequenza, la immobilizza nello spazio angusto del retro di un camion, ne prosciuga qualsiasi espressione facciale nella frammentazione dei punti di vista. Solo nel finale grottescamente tragico il filtro cade, e Lars si cala nello sguardo dolente della sua musa per assistere all’annientamento di quel simulacro dove si è compiuta la genesi di Dogville. E stavolta la donna diventa soggetto attivo e non più passivo di questo processo, non è il suo corpo a essere bruciato in nome della rappresentazione, ma il mondo di segni e di codici che ha penetrato.

[dicembre 2003]


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