Doppio incontro: intervista all’autrice e attrice Paola Tarantino e alla regista Sara Ercoli

24 al 27 gennaio debutta, nella suggestiva cornice del Teatro di Documenti, Io, La creatura, Mary Shelley, scritto e interpretato da Paola Tarantino, per laregia e Mimografia di Sara Ercoli.
In questo monologo Mary ci invita nel proprio mondo interiore popolato da amici, fantasmi e mostri generati da chi la paura non può permettersela e lotta con tutte le sue forza per resistere.
Abbiamo incontrato per Close up magazine l’autrice e attrice dello spettacolo, Paola tarantino e la regista Sara Ercoli.
Mary Shelley riuscì ad esplorare i suoi tormenti metamorfizzandoli nella “Creatura”, simbolo ancora oggi della diversità, del non essere amata/ rifiutata. Mary è una donna intelligente, sensibile, indipendente; allo stesso tempo la sua giovane età la costringe a confrontarsi con i suoi Mostri. Che lavoro hai dovuto affrontare per conciliare e rendere al massimo le caratteristiche della protagonista?
Paola: Mary Shelley ha dato vita alla sua creatura a 19 anni.
È una giovane donna indipendente, con già alle spalle tante esperienze dolorose, la morte della madre, il padre che l’ha rinnegata a causa dell’amore out cast tra lei e Shelley, la dolorosissima perdita dei loro primi due Figli, insomma la vita l’ha travolta da subito con tutta la sua prepotenza.
Ma Mary non si è mai fatta piegare da queste burrasche, anzi le ha usate per diventare un donna senza paura. A lei non è stato concesso averne, ha dovuto affrontare un mondo di uomini il cui giudizio pesava non poco sulla sua produzione letteraria e sulla sua figura di donna e intellettuale. Di fronte a questo colosso di immensa generosità mi sono scontrata, mi sto ancora scontrano e incontrando, e non è finita.
Ho scritto un testo pensando alle donne che combattono ogni giorno per essere "semplicemente" riconosciute, con l’obiettivo di tirare tante frecce ai cuori degli spettatori soprattutto agli uomini , e da attrice scoccarle tutte è la sfida! Non voglio che niente sia facile o scontato, non le farei un buon servizio.
C’è dentro di me una costante lotta tra la mia natura espressiva, appassionata e sanguigna e ciò che Mary mi chiede di tirare fuori per esistere di nuovo. Per questo mi sento fortunata nell’avere come regista Sara Ercoli che con una raffinatissima tecnica e ideazione registica, essenziali e minuziose, mi ha costretto in un contenimento scientifico che è proprio del personaggio.
Senza perdere in grammo della sua sensibilità e della sua ironia, la pretesa è di restituire una Mary leggera che abbraccia le sue membra ricucite mettendo da parte l’attrice che vorrebbe farlo al suo posto. Insomma mi sottraggo per tentare uno shock addizionale mostruoso e poetico.
Mary è una "donna-bambina" combattiva, poco incline ai compromessi e di indole molto forte.Quali caratteristiche la rendono una donna moderna?
Sara: Mary Shelley ha vissuto, espresso ed esplorato la propria indipendenza intellettuale.
In un’epoca in cui le donne avevano tre ruoli: figlia, madre e moglie, ne aggiungo un quarto: suora, per quelle che avevano fede o che non ne avevano negli uomini.
Oggi desideriamo e dobbiamo ricoprire molti ruoli ed esprimerci, ancora riscattandoci da millenni in seconda fila, continua a non essere facile.
Mary è un’esempio, avrebbe potuto accontentarsi di essere moglie, o ’se proprio doveva’ di scrivere romanzi leggeri, novelle di un certo estetico valore e destinate all’intrattenimento, e invece no: una mente così ben nutrita ha espresso i dolori e gli incubi di un’anima lacerata dai troppi eventi luttuosi "sollevando" la pelle della realtà, per parafrasare il pulsante, a volte pulp, testo scritto da Paola Tarantino.
La sua modernità risiede nell’essere stata un’onnivora ed avida studiosa, ai tempi in cui il web non esisteva, e nell’aver lottato col mondo esterno per imporre le proprie creazioni, i propri scritti, ed all’interno per non aver permesso alla tragedia della vita di soffocare il suo amore per la vita.
Ha accettato la sfida, l’ha guardata in faccia e si è fatta trapassare continuando a porsi domande, a rielaborare lutti, a guardare la realtà, la paura della paura, la paura del diverso, ironizzando a mente a tratti fredda, sul comune terrore della morte.
Ha viaggiato, con o senza mezzi adeguati, non ha mai smesso di cercare, e non si è opposta alla propria femminilità diventando madre, moglie amata, tradita, vedova.
Il suo è un’intelletto impetuoso, ricco di sangue pulsante, di memorie piene di tenerezza e di orrore, che non smette di cercare, elaborare, creare.
Lo sguardo lucido sulla società e sugli avvenimenti della propria esistenza le hanno concesso un’ironia insperata che le permette di giudicare con passione e leggerezza al tempo stesso, ogni avvenimento.
La nostra è un’epoca veloce, si analizza molto, forse ci si perde in questo, Mary no, con i suoi mostri ha ricreato vita.
Al di là del la storia personale trovo la modernità di questa incredibile donna nel non fermarsi mai, nel continuare a nutrirsi di cultura e di vita, di passioni amorose o intellettuali, nel cercare lontano anche geograficamente delle risposte, nello sperimentare e nel non farsi chiudere mai in un ruolo o in un altro.
L’urgenza di esistere comunicando è l’unico antidoto alla colpa di esser viva". Il "riscatto" più grande della protagonista è nell’urgenza di scrivere e di rinascere metamorfizzando i suoi incubi peggiori. Quale esempio femminile nella letterature/arte può essere vicino a Mary Shelley?
Paola: Se penso a delle artiste da poter paragonare a Mary per potenza restitutiva di un immaginario e per vita vissuta, tre nomi emergono chiaramente: Marina Cvetaeva, Sylvia Plath e Virginia Woolf.
Tre scrittrici senza pelle e senza limiti. Che dal primo verso mi hanno inchiodato occhi e cuore alle loro parole. Tre artiste, che per esistere hanno lottato tutta la vita contro la società e contro la loro stessa fragilità.
Tre donne che con la morte ci hanno giocato tutta l’esistenza. Vite molto diverse ma tutte hanno un ingrediente comune a Mary, Marina l’esilio e la perdita delle sue due figlie e del marito, Sylvia un compagno troppo impegnativo, con un ascendente determinante sui suoi versi e sul suo cuore , Virginia esplicitamente in lotta per i diritti delle donne e delle scrittrici.
Tre suicide. Mi domando quante volte Mary abbia pensato, visto gli accadimenti, di togliersi la vita, ma probabilmente il suo cimitero familiare le è bastato per morire rimanendo in vita.
Il teatro di documenti sembra la cornice adatta per questo spettacolo. Quale potrebbe essere la colonna sonora adatta alla "creatura" di Mary Shelley?
Sara: Il Teatro di documenti è fin troppo adatto per ospitare Mary Shelley.
Nell’astrazione cercata per universalizzare i temi della sua storia un luogo così è al tempo stesso un regalo ed una sfida.
La natura cunicolare del teatro pone lo spettatore nel giusto stato d’animo prima di addentrarsi nei pensieri della scrittrice.
La sala, davvero evocativa nella sua semplice bellezza, suggerisce un presente concreto ma fermo, come una memoria che si ripete in loop.
La memoria ha un corpo?
Mi piace e trovo doveroso integrare il luogo scenico con l’opera stessa, se "Io, la creatura" fosse stato rappresentato all’aperto (e ringrazio Igor Mattei e Marina Biondi per avermela fatta incontrare ’infante’ proprio all’aperto, questa ’creatura’, nel loro festival Ad Arte a Calcata) oggi le darei come suono quello di un didgeridoo: una voce che viene da lontano, e dal centro delle proprie viscere.
Il Teatro di Documenti ’chiede’ un’intimità diversa: grazie all’ottima acustica è una lente di ingrandimento dei mostri, fantasmi, memorie, paure, scoperte e pensieri che abitano Mary.
Il pensiero diventa voce, la voce diventa corpo.
Mary emerge dai pensieri, ritrova un respiro, una voce, ancora avida di vita.
Mary, riguadagna una corporeità perduta raccontando e rivivendo brandelli della propria esistenza con un ritmo frammentato come la propria creatura.
Con questo ritmo giochiamo molto volentieri permettendo a melodie, grida e voci di fantasmi di vivere ancora una volta.

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