Dragonslayer
Il sole della West Coast, piscine abbandonate, fast food, molto alcool, acidi, crack, sigarette e una tavola da skate. Il documentario di Tristan Patterson - Dragonsalyer - potrebbe essere riassunto da queste poche e iconiche parole. In realtà dentro c’è molto di più. Oltre alla personale storia di Josh “Skreech” Sandoval, c’è quella di tutta la sua generazione, o almeno di una parte.
Josh ha 23 anni, è uno skater, viene da Fullerton nella contea di Orange, in California. Tempo fa aveva parecchio successo, gare in cui competere, sponsor che gli pagavano i viaggi e i vestiti. Poi a causa di una forte tristezza che lo assaliva, ha abbandonato tutto. Ora è tornato per provarci ancora. Ha un figlio piccolo, che ha chiamato Sid, proprio come Sid Vicious dei Sex Pistols, leggendaria e maledetta band punk rock. Il punk in effetti è la colonna sonora di questo documentario, ma non quello di Vicious e Johnny Rotten, Patterson sceglie quello contemporaneo, inserendo brani dei Bipolar Children, dei The Germs o dei Children. Non è un caso. Dalle immagini sgranate, a volte disordinate e caotiche come quelle di un video amatoriale, appare chiaro quanto Josh e i suoi amici ricordino gli atteggiamenti smarriti e ribelli della generazione del punk anni ’70, ma sono allo stesso tempo piuttosto differenti.
Queste comitive di skater che passano le loro giornate sulle loro tavole di legno a rotelle, a guardare l’oceano, a bere e ingurgitare pasticche, che si spostano da un luogo all’altro con il loro furgone malandato, il loro contatto con la natura e la loro, almeno apparente, tranquillità d’animo, rievocano lo stile di vita del movimento hippie, il loro totale rifiuto delle convenzionali regole sociali, la loro insaziabile aspirazione alla libertà.
Tutto ciò lascia intendere quanto questi ragazzi abbiano un’identità indefinita, quanto il vuoto delle ore e dei giorni che passano, ingoino senza indulgenza il loro tempo, la loro giovinezza. Appaiono irriverenti, sfrontati e un po’ aggressivi agli occhi dell’obiettivo, spostati e sradicati da qualsiasi sicurezza familiare o istituzionale. La loro unica certezza è il gruppo. Patterson non fornisce giudizi, non ci consegna una verità, ci lascia semplicemente una testimonianza, oggettiva e distante, in un documentario formato da atmosfere, spesso illuminato dalla luce del tramonto, che immortala con trasparenza Josh e i suoi amici. Una gioventù che resta disperatamente indietro in un mondo che corre troppo veloce. Skreech combatte contro la sua accidia e la sua instabilità per tornare ad essere un campione e fare dello skatebording una professione, ma la sua dipendenza da crack non aiuta di certo la prontezza dei suoi riflessi. Ragazzini e adolescenti gli danno impietosamente del filo da torcere. A poco più di vent’anni Josh non sembra avere più molta forza per combattere e riprendersi il suo posto in pista. In un’ America in crisi, dove anche nella terra dei sogni che va sotto il nome di California è facile trovare villette abbandonate con tanto di piscine vuote da usare come piste per lo skate, a 23 anni si è già troppo vecchi per ricominciare e costruire un futuro diverso.
(Dragonslayer) Regia: Tristan Patterson; fotografia: Eric Koretz; montaggio: Jennifer Tiexiera, Lizzy Calhoun ; musica: T. Griffin; produzione: Animals of Combat; origine: Stati Uniti; durata: 74’.