Elisa Cruz all’Argot Studio

Lo spazio claustrofobico di un hangar fa da cornice ad una storia cruenta, quella di Elisa Cruz, il cui testo di Vincenzo Manna è stato diretto da Andrea Baracco.
Elisa vive col fratello accanto alla foce di un fiume dove ci sono industrie chimiche, di cui si sentono i rumori, fusi assieme all’ambiente lugubre e umido dove i due si ritrovano a condividere una triste esistenza. Lo spettatore ha potuto sentire l’umidità di quel luogo e gli odori di un’aria malsana, sedimentati sugli abiti e sulla pelle dei due giovani. Gli attori sono stati capaci di trasmettere tutte le loro sensazioni, la scomodità avvertita in ogni parte del loro corpo, ma soprattutto nella loro anima, l’inadeguatezza nei confronti di una vita poco generosa. Elisa è un’adolescente, ma parla con voce di bambina, come se fosse cristallizzata nell’età in cui è stata iniziata alla sessualità. Forse proprio suo padre l’ha introdotta a quella ossimorica santità macchiata di violenza.
La storia raccontata da Manna è quella di una vita violata, da cui la ragazza tenta di riscattarsi. Baracco ha costruito l’ambiente e ha dato respiro e voce ad una vicenda, che ferisce lo sguardo e trafigge lo spirito. Si pensa a Sisifo e alla continua risalita per uscir fuori da una situazione, arrivare vicino alla meta senza mai raggiungerla, perché si ricade sempre. Elisa ci dice a parole di star bene, di esser contenta di “regalare agli uomini tutto ciò che loro chiedono”, ma il suo corpo, il suo sguardo e tutto intorno a lei racconta un’altra storia. Il tono di voce, la gestualità, l’ambiente ci parlano di un’infanzia violata e di un’adolescenza castrata; l’incosapevolezza di Elisa le restituisce la purezza che le è stata tolta da bambina e di cui viene privata ogni volta che lei si concede per soldi. Il denaro diviene il simbolo di quella voglia di cambiamento e rendenzione che però non arrivano mai. Elisa è incatenata ad una realtà che appare priva di via d’uscita, prigioniera di un fratello che parla di cambiamento, che porta con sè una televisione, come se l’avesse presa da un altro mondo, per portarla nel loro, ma quella televisione non verrà mai accesa. E’ l’ennesima illusione del ragazzo, che ripudia uno spazio vitale dal quale però sembra non voler uscire. Quando si presenta un uomo nei paraggi dell’abitazione il fratello di Elisa pensa che sia l’ennesimo cliente, in realtà l’uomo è lì di passaggio; viene comunque invitato a dormire con la ragazza. Forse egli vuole portare via Elisa e suo fratello nel suo furgone, oppure semplicemente vuole cambiare vita anche lui. Elisa per la prima volta prova qualcosa di diverso, avverte nell’uomo qualcosa di familiare, che la lega da subito istintivamente a lui, stavolta il sentimento accompagna l’atto ripetitivo che lei è stata destinata a compiere come fosse una missione. Anche questa possibilità di cambiamento viene spazzata via da un fratello crudele, che uccidendo l’uomo, impedisce alla giovane di evadere dalla sua esistenza lacerata.
Le note di una canzone di Raffella Carrà oltre a darci l’indicazione dell’epoca in cui è ambientata questa storia, la rende ancora più feroce. La santità di Elisa fa pensare ai protagonisti del Teorema pasoliniano, però qui non è l’atto sessuale a permettere la redenzione, ma la morte, che libera i personaggi dall’amaro vivere di cui sono prigionieri. Un finale che sembra restituire alla ragazza quel “volo verso l’alto” che lei si è ostinata a cercare da viva senza mai trovarlo. La morte come unico mezzo per uscire da una “morte” peggiore, quella che ti comprime quando ancora sei in grado di avvertire ogni sensazione. Una visione che non lascia libero lo spettatore neanche quando è tutto finito e il sipario è calato, perché si continua a pensare a quella donna/bambina, vittima di una vita ingiusta, che l’ha resa prigioniera di se stessa.
(Elisa Cruz); Regia: Andrea Baracco; drammaturgia: Vincenzo Manna; costumi: Emanuela Stucchi; scenografie: Bruno Buonincontri;musiche: Giacomo Vezzani; interpreti: (Elisa D’Eusanio), (Marco Grossi), (Roberto Manzi); teatro e date spettacolo: Argot Studio dall’8 al 20 dicembre 2009; info:In collaborazione con Suite s.r.l.
