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Elle - Conferenza stampa

Pubblicato il 21 marzo 2017 da Stefano Colagiovanni


Elle - Conferenza stampa

In una limpida e mite mattina di metà marzo a Roma, presso il cinema Quattro Fontane, dopo la proiezione di Elle, abbiamo l’onore di presenziare alla conferenza stampa del regista Paul Verhoeven. Settantotto anni portati divinamente, tra pellicole di culto e una carriera in giro tra Europa e Stati Uniti. E dopo aver risposto con enfasi a ogni singola domanda, senza saltare quelle più ostiche, ci svela un pezzetto del suo prossimo film, già in cantiere.

La bravissima Isabelle Huppert è finita nella cinquina delle nomination agli Oscar come miglior attrice, mentre il suo film non è rientrato nella categoria per miglior film straniero. Crede che il suo film sia troppo eversivo per gli americani?

Bè, sicuramente è vero. Il terzo atto del film è una parte molto difficile che non è stata accettata dagli americani e il momento della trasizione in cui la protagonista passa da vittima a sviluppare un rapporto di natura sadomasochista con il suo violentatore è un qualcosa che è stato considerato controverso e che, parimenti, non ci ha consentito di raccogliere finanziamenti in America e neanche di trovare attrici americane disposte a farne parte. Quindi il fatto che sia stato escluso dalle candidature è, con ogni probabilità, un fatto politico.

Nel film viene trattato il tema della violenza sulle donne, quello del femminicidio, ma c’è anche molta ironia. Quanta ironia era contenuta nel romanzo e quanta deriva dalla sua apllicazione?

In un certo senso l’ironia era già presente nel romanzo e da parte mia ho voluto accentuarla nel film, perchè non volevo realizzare un film che fosse soltanto un thriller, ma che non fosse collegato a un genere specifico. Certo, bisogna fare i conti con la presenza di quest’uomo violento con il passamontagna che violenta Michèlle, ma poi si lascia spazio a diversi incontri tra i vari personaggi della storia in situazioni mondane. D’altronde io credo che la vita non appartenga a un solo genere. Oggigiorno si tende eccessivamente a categorizzare il cinema (abbiamo un thriller, o una commedia, o una tragedia...). Non volevo realizzare un film che venisse incasellato in un genere specifico, perchè la vita è questa, non è uniforme.

A lei piace trattare di donne tormentate, complicate, borderline. E’ quindi attratto da donne così...?

In questo caso, questo tipo di donna è già presente nel romanzo e io l’ho solo reinterpretato. No, non sono attratto da donne tormentate e nemmeno il personaggio di Michèlle considero tormentato. Si tratta di una donna che ha subito precisi eventi durante la sua infanzia, il cui carattere è stato forgiato in quegli anni, dal sapere che il padre avesse ucciso ventisette persone. La vedo più che altro come una sopravvissuta, che rifiuta di essere vittima e di essere vista come tale. Quando racconta ai suoi amici di essere stata violentata dice “Credo di essere stata violentata...”. Questo modo di esprimersi, seguito dalla compassione dei suoi amici viene subito cancellato dal desiderio di ordinare da mangiare, proprio perchè Michèlle non vuole che gli altri la trattino come una vittima. Non è nè una persona squilibrata, nè tormentata. E’ il suo carattere a essere così.

Nel film le donne vengono descritte come figure forti, determinate, rispetto agli uomini, per lo più ingenui, creduloni e rammolliti. Elle è un film esplicitamente femminista?

Si, questi aspetti sono già contenuti nel romanzo. Anche la scena finale del film è la stessa del romanzo, nella quale vediamo le due donne che decidono di lasciare igli uomini per andare a vivere insieme. E’ loro desiderio, alla fine, vivere senza gli uomini. Non ho inventato nulla, ho solo riadattato ciò che il romanzo mi offriva.

Come descriverebbe il lavoro con Isabelle Huppert? Come cineasta è partito dall’Europa per poi arrivare in America. Ora è tornato a girare film in Europa... E’ qui che c’è più libertà espressiva per un regista?

Si, in Europa c’è molta più libertà per un cineasta di quanta non ce ne sia negli Stati Uniti. Va detto che già nella fase embrionale del progetto Isabelle Huppert si era dimostrata interessata e aveva già contattato l’autore del romanzo Philippe Djian per poter interpretare la parte. Tuttavia, avendo io vissuto a Los Angels per molto tempo, dopo essere entrato in contatto con Saïd Ben Saïd (produttore) e con David Burke (sceneggiatore), pensavamo di risolvere la faccenda proprio in America. Dopo mesi non siamo riusciti a trovare i finanziamenti chiesti, nè attrici che fossero disponibili a interpretare la parte, poichè ai loro occhi questo ruolo era troppo controverso e problematico. Così abbiamo deciso di portare il film in Europa, a Parigi. Siamo tornati da Isabelle Huppert, mettendo da parte l’orgoglio e le abbiamo chiesto se fosse nuovamente disponibile per la parte e lei ha accettato immediatamente. Sceneggiatura alla mano, non ha sollevato problemi o altre questioni su nessun aspetto. E’ una donna determinata, che fa solo quello che ritiene il personaggio debba fare e abbia bisogno, senza mai lavorare per attirarsi le simpatie del pubblico. D’altra parte, sono anche io così.

Come nasce l’idea di ambientare alcunie parti della storia all’interno dell’industria dei videogames? E qual è il suo pensiero in merito a tale industria?

Nel romanzo Michèlle è la direttrice di un gruppo di sceneggiatori per la televisione e il cinema. Qui non centra nulla il legame tra videogiochi violenti e l’influenza che questi hanno sulle persone. Il fatto è che da un punto di vista visivo sarebbe stato più difficoltoso e scollegato poter mostrare una ventina di persona in procinto di discutere in merito a sceneggiature, che nulla avrebbero avuto in comune con il resto della storia. L’ho considerato un aspetto fortemente astratto da poter trasporre su pellicola. Mi ricordo che ero a cena con mia moglie e i miei figli a Los Angeles e chiesi loro come avrei potuto far funzionare nel film questa sostituzione. Così mia figlia, che conosce i videogiochi, mi ha detto di inserire il lavoro della protagonista in un’azienda che produce videogiochi e l’ho subito proposta a David Burke, che ha accettato immediatamente la proposta. In questo modo abbiamo avuto una seconda narrazione che fosse parallela a quella principale. Abbiamo visitato una società di produzione di videogames a Parigi, poichè non ci saremmo mai potuti permetterne di realizzare uno tutto nostro, considerati i costi elevati. E tutto si è legato alla perfezione.

Ultimamente vanno di moda i remake. Cosa dovremmo pensare se tra qualche anno gli americani vorranno realizzare un remake di questo suo film, tornando sui loro passi?

No, non credo che accadrà una cosa del genere. E’ già abbastanza grave quanto accaduto...

Michèlle sembra avere un profilo amorale, fortemente antiborghese. Nella sua filmografia come si evolve l’idea di un personaggio femminile come Catherine Tramell (Sharon Stone in Basic Instinct), fino a Michèlle Leblanc?

Michèlle potrebbe essere definita amorale, ma è un aspetto che non mi tocca. La moralità è alquanto assente nei miei film. La realtà è che gli uomini e le donne hanno rapporti anche al di fuori di quello del matrimonio. In questo film non ho fatto altro che seguire la descrizione del personaggio così com’è descritto nel romanzo. Con il passare degli anni, crescendo, posso dire che per i miei film sono molto più interessato alle donne, ai personaggi femminili, che a quelli maschili, perchè le donne sono molto importanti per me, così come lo è mia moglie nella mia vita. Posso anticiparvi che il mio prossimo film avrà come protagoniste due suore e sarà ambientato in Toscana.


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