X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Fari nella nebbia

Pubblicato il 13 marzo 2009 da Laura Khasiev


Fari nella nebbia

Il contrasto di segni è protagonista in Fari nella nebbia, un paradosso scenico che racconta di una storia attuale, anche se tratta dalla polvere del passato… Infatti tutto è nebbioso e poco visibile, ma qualcosa brilla ed esce fuori, quei “fari”, che una volta accesi restano fissi nella mente. Lo spettacolo, scritto e diretto da Vincenzo Manna, è stato in scena dal 4 all’8 febbraio, al teatro Furio Camillo. La vicenda si anima in un contesto metropolitano non ben definito, estrapolata dalla celebre opera il Faust di Goethe, da cui il regista ha tratto elementi che evocano il nostro presente. La suggestiva messa in scena, fatta di simboli carichi di significato, conduce ad una riflessione sul nostro contesto sociale, così “liquido”, dove tutto cambia forma o si dissolve completamente e solo alcuni segni permangono, facendosi impronte perenni di memoria. Il richiamo a Bauman è inevitabile, è lo stesso Manna che lo cita, racchiudendo il suo lavoro in una definizione, presa dall’ultima opera del noto sociologo e filosofo: “Nella nebbia si è liberi, ma è la libertà di chi si trova nella nebbia…” In un mondo dove tutto è parziale lo è anche la libertà e questo spettacolo ne è rappresentazione concreta. Un uomo e una donna, che camminano alla ricerca l’uno dell’altra, senza mai trovarsi. Fausto (Daniele Parisi) e Margherita (Silvia Benvenuto) nel loro viaggio incontrano ladri, prostitute, vagabondi, dai quali vengono coinvolti in vicende losche. Apparentemente fragili i due personaggi riescono però a fissare nel tempo il loro peregrinare senza meta, rendendo il loro amore mai concluso, eterno e universale. Il cammino dei due amanti si fa “contenitore” di sensazioni altalenanti, precarie e continuamente mobili. Anche la paura presto si tramuta in qualcosa di diverso, anima i passi di Fausto e lo conduce ad una scelta coraggiosa, quella di affrontare un viaggio senza conoscerne la meta. Egli è l’anti-eroe per eccellenza, immagine speculare di una figura “eroica” come quella di Faust. Daniele Parisi compie un lavoro meticoloso nel cucire sulle sue espressioni, sulla sua voce e sulle sue movenze l’individualità di una persona comune, senza posto fisso, anche se laureato, che ricorda la condizione di molti giovani di oggi. Il suo sguardo perso nel vuoto è come lama tagliente per il pubblico che lo accoglie. Egli ha una sola certezza voler ritrovare quel suo amore perduto dieci anni prima e in questa ricerca è affiancato da un compagno inseparabile, Wagner (Federico Brugnone), che diviene lato ironico e grottesco del malinconico itinere di Fausto. Le immagini divengono metafore dell’imperante irrisolutezza, che governa la scena così come il nostro mondo. Si è di fronte alla realizzazione di quel doppio che nei casi migliori prende piede nel teatro. L’immagine della società in cui viviamo è riprodotta attraverso una costruzione registica tale da trasmettere quel senso di inadeguatezza che ci è proprio. Sono gli attori a completare il lavoro di scrittura scenica, attraverso le loro interpretazioni, che si fanno esse stesse segno di qualcosa di fluido. La poeticità racchiude la vicenda e tutto sembra teso a riprodurre un senso di disorientamento che fa sentire lo spettatore complice di Fausto e Margherita e del loro amore irrisolto. Proprio in casi come questi il teatro assurge alla sua funzione più nobile, che è quella di far riflettere sulla propria individualità, ma anche sul contesto nel quale si vive. Tutto è offuscato dalla nebbia, che prende possesso anche dei dialoghi, sfumando in eloquenti silenzi o in discorsi pronunciati in maniera frenetica e senza voce. Foschie verbali fanno da sfondo alla continua conversazione tra Fausto e Margherita, che si parlano da lontano, privi di contatto e senza saperlo. Eppure le loro parole sono le uniche ad uscir fuori dalla nebbia, proprio come dei “fari” grazie al linguaggio poetico loro affidato. Come ha dichiarato Manna, la nebbia non uccide, disorienta, e forse è proprio in questo smarrimento che Fausto trova la sua condizione perenne. Del resto è nel Faust che si legge : “Spero nel tuo nulla di trovare il tutto” e Fausto compie un percorso nel “nulla”, riprodotto da quella nebbia costante alla ricerca di un “tutto”, che solo l’amore potrebbe produrre… La storia del Faust rivive sotto nuova forma, sottolineando ancora una volta il concetto intrinseco di questo spettacolo, ossia l’eterno mutare. Le figure che si aggirano sulla scena divengono quasi esseri inanimati, anch’essi simboli di una società disgregata e frenetica, nella quale i due protagonisti devono articolare un cammino proprio, facendo fronte alle mille avversità.
Il regista li ha concepiti aggressivi, carichi di una violenza che sfocia in quella bestiale, tipica degli animali e . Un richiamo che si fa evidente attraverso lo ZOO, il luogo dove tutti confluiscono. È il luogo dove prima c’erano animali in gabbia e ora ci sono prostitute, rinchiuse nella “gabbia” della precarietà, prigioniere dei loro stessi lamenti verso una vita priva di soddisfazioni per loro, che paradossalmente lavorano per soddisfare… La riproduzione di una sorta di bordello in scena viene resa ancora una volta con simbolismi forti, uniti ad oggetti semplici come ruote di biciclette. Il contrasto si fa perno anche della scenografia, farina sparsa che diviene nebbia, un vaso di vetro per simulare un ventre materno, ruote di biciclette, fatte ruotare velocemente, riproducono un amplesso di gruppo; il connubio tra materiali semplici e lo straordinario lavoro di regia, coadiuvato dalle notevoli interpretazioni degli attori fa sì che lo spettacolo lasci un segno forte all’interno di un ambito effimero come quello che viviamo oggi.


testo e regia:Vincenzo Manna Interpreti: attori dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico della compagnia Cassepipe: Gabriele Bajo, Silvia Benvenuto, Federico Brugnone, Dune Medros, Daniele Parisi, Sofia Pulvirenti, Giorgio Regali, Barbara Ronchi, Andrea Vellotti; Luci:Camilla Piccioni; oggetti di scena : Bruno Buonincontri; costumi:Giulia Della Valle; Foto:Paolo Sasso;documentazione video :Marco Giallonardi; grafica: Francesco Chiacchio e Nexine


Enregistrer au format PDF