FESTIVAL UNIONE DEI TEATRI D`EUROPA

ROMA - Teatro Argentina - L’autunno teatrale a Roma è stato dominato da un festival cospicuo, conclusosi il 24.10: l’appuntamento annuale dell’U.T.E. (UNIONE DEI TEATRI D`EUROPA), che ha comportato un eccezionale arricchimento delle scene italiane altrimenti troppo spesso avvezze, come in questi giorni, a spettacoli di cabaret, dialettali, o di varietà. In attesa che un altro festival, Romaeuropa, prenda seriamente l’avvio (finora avendo esso presentato quasi solo installazioni e “eventi”), l’Argentina ha offerto al pubblico una selezione di lavori in gran parte di altissimo livello artistico, se non comunque di forte interesse per un pubblico come il nostro, affamato di novità internazionali. In questo modo una nuova rete di relazioni con lontani, ma alti centri della ricerca e delle scienze teatrali, si è intessuta a partire dall’Argentina e si spera che essa fruttifichi nei prossimi anni, con tutta una serie di nuove prospettive di cooperazione o di dialogo, nonché la possibilità per i nostri stessi artisti (non solo del Teatro di Roma) di entrare in rapporto proficuo con grandi registi ormai attivi su scala europea. E’ il caso per esempio di Ricardo Pais, invitato nello stesso periodo autunnale anche al festival napoletano Scena Internazionale, un artista attivo tra Regno Unito e Portogallo eppure radicato nelle più profonde tradizioni culturali iberiche, e che intrattiene da tempo rapporti con l’Italia. O del Teatre Lliure di Barcellona, un ensemble giovane e dinamico che lavora in stretto rapporto con realtà del nordeuropa, o ancora dello Stary Teatr di Cracovia, esponente di una tradizione gloriosa e di prestigio altissimo.
Con un programma a volte troppo fitto (negli ultimi giorni era quasi impossibile vedere tutto), si sono articolati sulle scene del Valle, dell’India e dell’Argentina al civile e regolare orario di inizio delle 20,30 alcune produzioni interessantissime, il cui senso ultimo è, probabilmente, in molti casi proprio quello di mettere in questione il rapporto di dialogo e quindi comprensione e intesa tra culture contrastanti. Eminente l’esempio dello Schauspiel di Düsseldorf, che con la regia di un polacco (Mikolaj Grabowski) ha inscenato un brano di Stasiuk (lo scrittore ucraino residente in Polonia) sul rapporto (e il pregiudizio) tra Polonia e Germania in prospettiva storica e contemporanea. Il pubblico romano è uscito da questo spettacolo perplesso e quasi scioccato, in preda a passioni contrarie: chi era indignato perché un lavoro teatrale potesse mostrare tanta aggressività verbale e discriminante di un popolo contro un altro, poco politically correct (i tedeschi sui polacchi) e chi si stupiva che tanta passione, sanguineità potesse regnare nelle relazioni moderne tra le due nazioni (come di fatto è: il rapporto tra Polonia e Germania è un conto ancora aperto). Lo stesso spettacolo di Düsseldorf farà il giro di alcune scene europee (o in parte l’ha fatto) e siamo ansiosi di sapere quali altre reazioni appassionate risveglierà nelle sale.
Ma ciò che ha soprattutto contraddistinto la maggior parte degli allestimenti è l’alta qualità del lavoro di regia e attoriale, un compendio di metodi, conoscenze, specializzazioni in tecniche performative quale raramente lo si rivedrà ancora in così ristretto spazio, e che ha fatto improvvisamente riappropriare Roma, antica capitale delle scene del ’900, della vocazione che come si dimostra con evidenza, le appartiene (e le apparterrà: prima serata del festival è stato l’Edipo con la regia di Martone).[ottobre]
