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Fiction Italia – Lo scandalo della Banca Romana

Pubblicato il 23 aprile 2010 da Marco Di Cesare


Fiction Italia – Lo scandalo della Banca Romana

Potrebbe non sembrare a prima vista, vedendola così moribonda da tempo immemore, ma anche l’Italia un tempo è stata un Paese giovane, quando sulle spalle aveva appena trent’anni: era un’epoca lontana, gli anni tra l’89 e il ’93, un secolo prima del terremoto di Mani Pulite che porrà fine alla classe politica della Prima Repubblica. Al pari di quello a noi più vicino, lo scandalo di fine Ottocento fu di proporzioni colossali, in una nazione diversa però, dove era vivo un dibattito tra le parti, aspro, in un’epoca dove gli oppositori sapevano che di certo l’avrebbero pagata cara, come poteva capitare a certi giornalisti mandati in prigione per anni. Tanto che Stefano Reali, regista e compositore delle musiche di questa miniserie Rai, durante la conferenza stampa ha affermato che non è vero che siamo tutti figli di Alberto Sordi, riferendosi ovviamente al tipico personaggio che il nostro grande attore amava interpretare, ossia quello dell’italiano più che altro vile, cinico, (simpaticamente) arruffone e soprattutto lassista.
Erano quindi tempi duri quelli mostrati in questa riproposizione del grande scandalo che investì la finanza e la politica italiane e che fece cadere il primo governo Giolitti (senza, però, che nessuno dei protagonisti della vicenda venisse poi condannato, grazie a svariati stretti legami di casta con la magistratura inquirente), dopo che si scoprì che una delle banche centrali della Penisola, una di quelle che al tempo potevano emettere moneta, per coprire le proprie perdite aveva stampato banconote in avanzo rispetto alla reale copertura in oro, giungendo persino alla falsificazione di svariate banconote.
Lo scandalo della Banca Romana è un remake di uno sceneggiato Rai del 1977, appartenente anch’esso quindi a un’altra epoca, televisivamente parlando. In questa Tv odierna perlomeno la televisione di Stato è qui riuscita a dare vita a un’opera non scontata che unisce gli intrighi con gli aspetti più sentimentali degli individui, il denaro e il sesso con (forse) l’amore, unendo la Storia alla finzione, il pubblico al privato, mantenendo soprattutto un occhio aperto e addirittura vigile sul nostro presente, risultando non il solito intrattenimento da prima serata di Rai Uno per la famiglia italiana, ma restituendo alla Tv di Stato una funzione di servizio pubblico, ossia aperto a tutti perché tutti possano formarsi un’opinione. Soprattutto si fa largo una certa durezza e asprezza - seppur nei limiti dello schermo generalista - che è una delle frecce più pungenti all’arco di quest’operazione. Sempre presente è l’oggi che rilegge il passato, ammodernandolo nella sua forma televisiva. Da ciò è venuta a crearsi una certa ambivalenza che investe l’intera fiction. Di tale aspetto preponderante può essere considerata emblema la prima esibizione della cantante ungherese Renata (Andrea Osvart) sul palcoscenico del Teatro dell’Opera di Roma, una donna che, durante un’apparizione pubblica, all’interno dello spazio finzionale del teatro si mostra solo di profilo, il destro e il sinistro, il sinistro e il destro, l’uno di seguito all’altro, con ricercata insistenza, di continuo, un lato truccato da donna e l’altro da uomo, senza mai rivelarsi completamente, forse neanche al proprio fidanzato che la osserva da dietro il palco, il francese Clemente Claudet (Vincent Perez), il ricco e potente direttore del quotidiano filogovernativo ’Il Popolo Italiano’. Mentre la regia insiste su questo gioco di finzioni e nascondimenti, senza mai interrompere la performance e mostrandola in quanto punto nodale di un intero mondo che vive dell’esibizione della propria falsità.
Intorno c’è Roma, cosmopolita e tentatrice, da poco capitale di un Stato di ladroni, città in forte espansione che attrae persone da ogni dove, i poveri che vengono frodati dagli speculatori edilizi, oppure il giovane giornalista siciliano Mattia Barba (Giuseppe Fiorello), pieno di ideali e della convinzione che in una grande città i giornali permettano di far gridare alta la proprio voce che cerca la Verità. Lui che ha il dono di piacere a quelli che contano, verrà preso sotto l’ala protettrice di Claudet, che investirà sul ragazzo e lo porterà con sé, in alto, nel bel mondo.
Giuseppe Fiorello qui nuovamente incarna il tipico personaggio della brava persona, l’uomo comune che rimane intrappolato in una coltre di eventi più grandi di lui (destino cui recentemente è sfuggito grazie al cinema d’autore di Edoardo Winspeare che ha operato un ribaltamento di tale figura tipica), coinvolto qui in un giro di speculazione e di corruzione che accomuna il sistema politico, quello finanziario e la mafia siciliana. Ma anche lui viene preso in questa doppiezza che galleggia su di un fiume di denaro che scorre in una città dove non basta il talento per poter emergere e dove bisogna pensare solamente ai propri interessi. In questo modo Lo scandalo della Banca Romana riesce ad allargare il proprio sguardo in modo anche lodevole, come quando nella prima parte giunge una battuta che è come un fulmine a ciel sereno, laddove si afferma che più un uomo pubblico viene attaccato dai giornali e più egli risulterà simpatico alla gente, quale che sia la verità: viene così nuovamente ribadita la dicotomia tra realtà e rappresentazione, tra la verità e la percezione che se ne ha per colpa dei mass media. Tutto conviene, quindi, con una certa cura e in maniera anche intelligente, a realizzare un’opera comunque compatta, soprattutto con un’idea alla sua base, sinceramente degna e capace di andare al di là di quello che mette in scena, riuscendo a parlare dell’Italia del passato e di quella del presente, ma anche delle persone di ogni tempo e del Sistema che si perpetua di generazione in generazione.


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