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FOR AN END TO THE JUDGEMENT OF GOD + KISSING GOD GOODBYE

Pubblicato il 1 dicembre 2003 da Carla Di Donato


FOR AN END TO THE JUDGEMENT OF GOD + KISSING GOD GOODBYE

Figura eclettica e d’originale quella di Sellars, nome noto anche da noi ormai, grazie alla sua direzione della Biennale Teatro 2003 ed al Romaeuropa Festival che ne ha ospitato ben due produzioni, una nel 2002 (Children of Herakles, dagli Eraclidi di Euripide) e quest’ultima, nel 2003.
La pace va a teatro, lo slogan lanciato dalla stampa per questa piéce in due parti. Come ogni sigla è da prendere con le molle, ma Sellars non è tipo di teatrante da potersi scindere dalla sua inconfondibile carica di “borderline” dell’agit prop in campo multirazziale, interetnico, a 360° sensibile alle problematiche globali del XXI secolo. Ogni suo spettacolo non prescinde da un’etica - la sua, ovviamente - della polis, ghermita come civiltà ed “Azione cosciente” proprie dell’essere umano più naturalmente vicino all’Oriente (sempre visto dall’Occidente) che alle patrie stelle e strisce.
La piéce in due “atti” senza soluzione di continuità parte da Artaud: dal suo “grido”. Ma non è la voce “pazzesca”, rotta, onirica e lucidissima dell’originale: per Sellars è la sua transustanziazione, in un delirante e altrettanto folle proclama di guerra, di cecità dritto a dirotto verso la Fine. Tre monitor sospesi catturano le immagini “vere” (della guerra in Afghanistan, ma poco conta, sembrano luoghi atopici, lì c’è sempre l’uomo che soffre - da solo) di morte, di dolore, dell’angoscia di chi vive in quelle realtà senza futuro, mentre il generale (l’incisivo John Malpede) sospende il suo monologo e “prega”. Ma per chi/cosa?, e rivolto a chi? ci chiediamo. Per i volti di bambini stesi su una provvisoria lettiga avvolti in bende, per se stesso (??!), per viltà o vergogna, ma il semplice quesito rimane: perché assistere ad uno spettacolo che ci mette di fronte alla lapalissiana follia e reazionaria voracità di potere imperialista e scoprire che... ci stiamo annoiando? Sì, perché la scena di Sellars della ben concreta conferenza stampa al Pentagono è “perfetta”, rigorosa e linda - anche troppo, perché ci si abitua al dolore e ai corpi straziati e se la prima volta li guardiamo, già la seconda non li vediamo più e l’effetto iterativo qui soffoca la figura di Malpede, efficace, ma ingessata: nulla interviene a spaccare il quadro, a recidere con un segno fatale, o semplicemente a portare il disordine che serve a rivolgere un sanissimo sguardo ricolmo d’orrore verso quell’Ordine.
Finalmente arriva June Jordan, o meglio, le sue parole, i suoi versi: questo è lo sconvolgimento che lo spettatore provato ma non ancora sfiancato merita? No. Ma la denuncia sincera e veemente su chi ha o non ha il diritto di decidere della vita o della morte del prossimo elettricamente risveglia da un subdolo dormiveglia. La ragazza nera che irrompe in scena come in un comizio afro-americano parlando dei fondamentali diritti umani e dell’assoluto Respiro - del rispetto della libertà di scelta di ogni essere umano - fa pensare che è lei la vera portatrice di pace, di una pace autentica perché sgorga da una fonte giusta: dalla vita. L’aperto richiamo alla vita, ergo, alla pace - casualmente, proviene da una donna - chiude in un infuocato crescendo uno spettacolo politicamente utile, ma, complessivamente, spiace dirlo, a grado zero.

[dicembre 2003]

FOR AN END TO THE JUDGEMENT OF GOD di Antonin Artaud

adattato da Peter Sellars KISSING GOD GOODBYE
di June Jordan
regia: Peter Sellars
cast: John Malpede, Pascale Armand
musica: Osvaldo Golijov interpretata dal Kronos Quartet
produzione: Wiener Festwochen in associazione con Old Stories: New Lives
web info: www.romaeuropa.net


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