Goodnight Sofia

L’elaborazione di un dolore gigantesco può avvenire anche col cinema. Ce lo ha ricordato recentemente un interessante film di animazione italiano: L’arte della felicità di Alessandro Rak, e per certi versi ce ne ha parlato anche il bellissimo Lasciando la baia del Re di Claudia Cipriani. Ora ci arriva la possibilità di riflettere sulla settima arte utilizzata in questo modo - su tale potenzialità di questo meraviglioso mezzo espressivo - attraverso un piccolo lavoro di circa settanta minuti dell’esordiente e giovane Leonardo Moro, classe 1985.
Lo diciamo subito, non c’è (ancora) una distribuzione per questo suo personalissimo film, ma ci va di segnalarne le intenzioni e la sincerità, il coraggio dei contenuti e la ricerca di una forma nuova, linguisticamente giovane e al passo - per coincidenza o influenza - con quel cinema italiano non omologato e sfuggente alle definizioni che un po’ di anni fa ha iniziato a far parlare di sé, e che ha ridato importante energia al nostro cinema in generale. Ci interessa notare come esista il desiderio di affrontare gli aspetti estremi della vita (in questo caso la drammatica perdita di un genitore) con un linguaggio cinematografico per nulla didascalico e lineare.
Al contrario, costruito attraverso un approccio visivo astratto: in una città deserta si muove una ragazza, luci, suoni, automobili che attraversano la notte, asfalto bagnato che cattura i colori dei semafori e dei fari. Poi un’alternarsi di foto e di testi letterari citati da una voce narrante, insieme a frammenti di vecchissime pellicole in bianco e nero. Immagini nervose e a modo loro poetiche, che esprimono stati d’animo invece che fatti, che cercano la reazione emotiva non certo per via cognitiva. Quei palazzi e quelle piazze sono una Sofia fredda e sola come il cuore di chi si racconta, ma potrebbe essere anche un altro luogo. Sono il più doloroso dei luoghi dell’anima di un ragazzo umbro di 29 anni, il regista, sono l’ultima volta che ha sentito suo padre al telefono, prima che questi decidesse di morire. Leonardo era a Sofia, veniva di Istanbul, aveva parlato con suo padre al telefono, le solite cose, apparentemente tutto ok. Ciao, apposto, ognuno con le sue cose da fare. Pochi giorni dopo la notizia, il dolore, l’incapacità di pronunciare persino il nome del padre, di guardare le sue foto. Poi questo viaggio "di ritorno" in cerca di una risposta, di un superamento, di qualcosa. Lo spazio di un movimento interiore fatto di riflessione, ricordo, forse espiazione di una colpa, può darsi perdono, di sicuro elaborazione del dolore più profondo.
Leonardo Moro filma in modo anticonvenzionale la sua solitudine, le sue domande, la sua vicenda umana in quelle strade lontane, chiedendo aiuto ai poeti per dare un senso a quella perdita, trovando finalmente la forza di frugare nella memoria, recuperando scatti e immagini di suo padre, tentando di recuperare le emozioni della sua infanzia accanto a lui, mettendo poi quelle immagini personali in relazione con l’infanzia del cinema, un altro amore, che per fortuna è ancora lì, non scappa, e gli regala la possibilità di abbracciare suo padre, di regalargli qualcosa di importante, di personale, di enorme, a quell’uomo che lo ha messo al mondo e che gli ha voluto bene. " Non un film su mio padre - leggiamo nelle note di regia - ma un film per mio padre".
Regia: Leonardo Moro; Sceneggiatura: Leonardo Moro, Lorenzo Robusti; Fotografia: Lorenzo Robusti; Montaggio: Edvard Tear; Interpreti: Lucia Telori, Nicolina Yancheva; Voce narrante: Domenico Pelini; Produzione: Leonardo Moro, Lorenzo Robusti per BBM film
