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Haiku on the plum tree - Intervista a Mujah Maraini

Pubblicato il 6 novembre 2018 da Filippo Baracchi


Haiku on the plum tree - Intervista a Mujah Maraini

Presentato nel 2017 alla Festa del Cinema di Roma, il documentario di Mujah Maraini Melehi racconta la vicenda dell’esilio della famiglia Maraini in Giappone e la detenzione per diversi mesi nei campi di prigionia di Nagoya e Tempaku. Una distribuzione del lavoro basata perlopiù sul passaparola, che vede tra i collaboratori anche il musicista Ryuichi Sakamoto. Incontro Mujah durante una delle presentazioni del documentario, all’Edera Film Festival di Treviso, dove il documentario è presentato come evento di chiusura della neonata manifestazione.

"Haiku on the plum tree" (Haiku sull’albero del prugno) è un lavoro che ti ha coinvolto per diverso tempo, come è iniziato?
Ho voluto iniziare dalle registrazioni audio di mia nonna, in cui venivano raccolti molti ricordi racchiusi in parte nel suo diario ("Ricordi d’arte e di prigionia di Topazia Alliata" edito da Sellerio), registrazioni che sono cominciate nel 2003 e sono durate fino al 2011, poco prima della sua morte.

Il documentario racconta la vita di Fosco Maraini, antropologo italiano, e sua moglie Topazia Alliata, tua nonna, e la loro prigionia a Nagoya a causa del rifiuto di firmare da Tokyo per la Repubblica di Salò. Quale è l’aspetto più importante che hai trovato nella coppia?
La libertà mentale, capace di portarsi sulle spalle un’intera famiglia ma rimanendo fedele ai propri ideali.

Da cosa è cominciato l’interesse per il lavoro? L’idea originale era di raccontare i luoghi del ritorno della mia famiglia: la Sicilia e Bagheria. L’ispirazione del progetto è nata da due diari, uno firmato da Dacia, "La nave per Kobe" e il secondo scritto dalla madre Topazia.

Dunque il progetto non ha raggiunto a pieno il suo obiettivo originario?
Il progetto ha avuto una produzione molto travagliata, ma malgrado questo è riuscito a riportare delle testimonianze importanti della famiglia in una delle pagine meno conosciute del fascismo.

I campi di detenzione non erano infatti soltanto una questione europea...
In Giappone sembra che la memoria sia stata rimossa per molto tempo, visto che tra l’altro il generale responsabile della detenzione al campo di Nagoya è stato scoperto solo nel 1990 dal giornalista Kumamoto Norio dell’emittente televisiva cittadina. Oggi sul campo sorge un campo da tennis.

E neanche nell’altro campo di concentramento dove sono stati detenuti c’è nessuna targa a ricordare l’avvenuto?
Neanche a Tempaku.

Nel documentario hai deciso di inserire il linguaggio giapponese degli haiku, realizzando un’animazione a passo uno. Da dove provengono i quadri scelti?
Una parte dell’animazione è basata sui disegni di mia nonna, mentre ci sono 88 schermi giapponesi contenuti nella Japan Society di New York e che raccontano la storia del Giappone.

Le musiche sono state curate da Ryuichi Sakamoto, come è nata la collaborazione?
Mentre stavo raccogliendo i fondi per il documentario con una piattaforma crowdfunding, ho scritto una mail direttamente a lui e mi ha risposto confermandomi la sua intenzione a collaborare. Ha composto un brano originale intitolato "Italian Ainu", presente all’inizio del documentario, quando c’è la partenza della famiglia, mentre sono stati utilizzati brani composti per altri lavori.


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