Hugo Cabret 3D: le prime immagini
Evento della sesta edizione del Festival di Roma, la presentazione in anteprima dei primi minuti di Hugo Cabret ha deluso gli spettatori della sala Santa Cecilia. Non di certo per la qualità delle immagini del nuovo film in 3D di Martin Scorsese, che da poche inquadrature lascia subito intravedere un potenziale visivo e narrativo straordinario, ma perché di evento c’è stato ben poco. Dell’opera sono stati mostrati solo pochissimi minuti (oltre al backstage) e la presentazione è stata strutturata su una lunga conversazione con lo scrittore Brian Selznick, la scenografa del film Francesca Lo Schiavo e il piccolo protagonista Asa Butterfield, intervallata dalla lettura di alcuni brani del libro e ovviamente dalle immagini del film. Una sola la sequenza mostrata e quindi è ancora difficile poter azzardare giudizi sull’opera di Scorsese. Quelle poche inquadrature però promettono grande spettacolo: un 3D che proietta in profondità l’occhio dello spettatore e una pazzesca cura dei dettagli, valorizzata ancora di più dalla tecnica stereoscopica. Lo scrittore, il protagonista e la scenografa hanno raccontato la genesi del libro e del film e loro esperienza lavorativa con Scorsese.
Nel libro Hugo Cabret, per la prima volta non sono le immagini a illustrare le parole, ma sono quest’ultime ad essere al servizio delle immagini. Brian Selznick, come nasce questo lavoro e quali sono i tuoi modelli?
Brian Selznick: Il modello principale è Le Voyage dans la lune di Georges Méliès. Ho voluto immaginare cosa poteva accadere in un incontro tra un bambino e il regista/prestigiatore francese. Grazie a delle ricerche, ho scoperto che Méliès aveva una collezione di automi che sono stati buttati quando è morto. Così ho immaginato cosa accadrebbe se un bambino li trovasse e provasse a ripararli. Il libro è nato in modo tradizionale, poi alle parole ho sostituito le immagini.
Possiamo definire il libro una graphic novel?
Brian Selznick: Il mio libro trae ispirazione dalle graphic novel, ma non solo: anche dai fumetti, dai libri illustrati e dal cinema. Volevo fare qualcosa di un po’ diverso dalle graphic novel, inserendo una continuità spazio-temporale che obbligasse i lettori a girare pagina per andare avanti nel racconto.
In molti paragonano il tuo lavoro a Truffaut e Dickens. Sei d’accordo?
Brian Selznick: Truffaut è molto importante per me e il mio lavoro, così come Jean Vigo. Zero in condotta e I 400 colpi sono film fondamentali sull’adolescenza. Sono ovviamente molto legato anche a Dickens.
Non hai mai voluto di partecipare alla sceneggiatura del film?
Brian Selznick: Quando ho saputo che il film sarebbe stato diretto da Martin Scorsese ho capito che il mio libro era nelle mani giuste, perché lui è uno dei migliori registi della storia. Mi fidavo tantissimo anche di John Logan come sceneggiatore, era una garanzia. Per cui non mi sono mai posto il problema di partecipare alla scrittura del fim
Asa, che emozioni hai provato nel vestire i panni di Hugo Cabret?
Asa Butterfield: Ho sostenuto i primi due provini a Londra, poi ho spedito un video a Martin Scorsese. Mi ha chiamato, sono andato a New York e ho fatto il provino davanti a lui. Due giorni dopo mi è arrivatala notizia che ero stato scelto.
Conoscevi Scorsese e i suoi film?
Asa Butterfield: In realtà non sapevo chi fosse Martin Scorsese, avevo sentito il suo nome e conoscevo alcuni film, ma non li avevo mai collegati. Ho compreso l’importanza di Scorsese da come reagivano le persone quando dicevo loro che avrei recitato con lui. Dei suoi film ho visto The Aviator, The Departed, Shutter Island, sono straordinari.
Come è stato lavorare con Chloe Moretz?
Asa Butterfield: Bellissimo, abbiamo la stessa età e anche le stesse passioni. Siamo diventati subito amici.
Francesca Lo Schiavo, come avete creato le scenografie di Hugo Cabret?
Francesca Lo Schiavo: E’ la prima volta che vedo le immagini del film, è emozionante. Questo è solo un piccolo assaggio. La stazione non è una copia di un luogo reale, ho preso elementi dalle quattro stazioni di Parigi e ho ricostruito un luogo diverso con dettagli molto precisi. E’ stato miracoloso ritrovare un documentario del 1926 in cui veniva illustrata una delle stazioni. Scorsese ci chiedeva di tenere sempre presente che questa è un racconto ispirato a Méliès, uno degli inventori dello spettacolo cinematografico, colui che ha tentato i primi effetti speciali. Voleva mantenere il film in equilibrio tra realtà e fantasia: per questo ho dovuto dilatare le dimensioni di certe costruzioni. Per me questa è stata la prima volta col 3D e lo è stata anche per Martin. Ho capito che gli ambienti sembrano molto più vuoti perciò bisogna riempirli di più oggetti possibili e cercare di creare diverse posizioni perché si deve dare profondità all’immagine. I colori devono essere più forti, evitando il rosso e verde.