Il cinema di Ansano Giannarelli: Arrendersi di fronte all’evidenza è la morte del cinema
All’interno della Rassegna il mese del documentario, giovedì 20 febbraio sì è tenuta presso la Casa del Cinema a Roma la presentazione del libro Cercando la rivoluzione. Ansano Giannarelli: i film, le idee (Donzelli editore, pp.256, € 22), volume scritto a più voci e prodotto con l’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, di cui il regista viareggino è stato fondatore e presidente per diversi anni. L’evento, più che la semplice presentazione del libro, si è rivelato un momento per raccogliere riflessioni e idee intorno alla figura di “un cineasta e intellettuale, rivoluzionario gentile, convinto, con Zavattini, che il cinema e la televisione debbano essere strumenti di conoscenza e di impulso al pensiero di tutti”.
Ansano Giannarelli, scomparso nell’agosto del 2011, è stato un regista molto attivo, autore di lungometraggi per il cinema e la tv (Sierra maestra, 1969, Non ho tempo, 1972, Immagini vive, 1974, Remake, 1987), più di quaranta documentari, oltre a diverse trasmissioni per la televisione e di archivio (Resistenza, una nazione che risorge, 1976; Berlinguer, la sua stagione, 1989), e ha partecipato al film-inchiesta collettivo di Cesare Zavattini I misteri di Roma (1963).
L’incontro, tra cui hanno partecipato Carlo Felice Casula, Emanuele Redondi, Christian Carmosino, Paola Scarnati, è cominciato con la proiezione di Off limits, il breve film sull’America (o meglio sulla Non America, come ha ricordato Antonio Medici) che Giannarelli realizzò nel 1971 e che doveva inizialmente essere un’inchiesta sul mondo dei calcolatori elettronici da girare negli Stati Uniti, ma che il cineasta non poté realizzare per il mancato visto del consolato americano. Lo spettatore si ritrova così a guardare il regista che è seduto in moviola (spesso inquadrato di spalle) mentre legge dei fogli e racconta le motivazioni del suo mancato visto, mentre contemporaneamente sono inquadrati davanti a lui tre monitor che proiettano, ognuno per conto suo, riprese che riguardano gli Stati Uniti e il materiale di quello che sarebbe potuto essere il film. Narrazione asettica e fredda, ma che porta subito il pubblico ad entrare direttamente nel film e a dover effettuare scelte di montaggio, scegliendo tra i monitor le riprese e i filoni da sviluppare.
Tra gli interventi, Steve Della Casa ha ricordato la sua esperienza dell’organizzatore Ansano Giannarelli, co-fondatore nel 1981 con Gianni Rondolino dell’attuale Torino Film Festival, ma soprattutto del suo profondo lavoro nell’ambito dell’Archivio, risorsa che continua ad essere una preziosa miniera sempre troppo poco sfruttata. Molto propositivo è stato il ricordo venuto da Daniele Vicari che ha invitato tutti a guardare al libro e soprattutto all’evento, non come un semplice omaggio, peggio ancora una commemorazione, ma come una presa di coscienza, uno spunto per uno studio complesso, un nuovo approccio restando nel solco tracciato della conflittualità. “Ansano era un interprete raffinato e conflittuale. Conflittuale verso il sistema produttivo del cinema, ma anche estremamente aperto verso ogni forma che il cinema può prendere. Spesso il cinema si inabissa nelle sue ceneri, ma bisogna trovare la forza per rinascere da quelle ceneri e guardare al futuro. Bisogna ripartire dall’amore che Ansano aveva per le idee e soprattutto per il conflitto delle idee stesse. Arrendersi di fronte all’evidenza è la morte del cinema”. Proposta quella di Vicari che, oltre al cinema, si potrebbe e si dovrebbe applicare in qualunque campo non solo strettamente artistico.
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