Il piede di Dio

Il piede di Dio segna l’esordio dietro la macchina da presa del critico Luigi Sardiello, e racconta, senza entusiasmare particolarmente, la storia di due individui assai diversi per età, indole ed esperienze compiute: il primo è un ex calciatore degli anni ottanta, Emilio Solfrizzi, stroncato da un infortunio a un certo punto dell’attività, ed ora talent scout malinconico nell’orrido mondo del calcio attuale. Il secondo è un ragazzo particolare caratterialmente e molto talentuoso calcisticamente: il Filippo Pucillo che avevamo lasciato bambino simpaticissimo in Respiro. Ha diciotto anni, nel film di Sardiello, ed un cervello da bambino. Dovuto al fatto che quando aveva dodici anni suo padre se ne è andato a Roma, ed ha lasciato nel fanciullo un trauma irrisolvibile. Non sbaglia mai un rigore, questo giovane, ma non sa cosa sia un campo di calcio vero e proprio, e forse nemmeno in cosa consista il fuorigioco o il 4-2-3-1, anche se si strafà di Playstation.
La storia tra questi due estremi umani, purezza e inquinamento, ingenuità e compromesso, nasce da una pallonata in testa. Siamo su una spiaggia libera del Salento, bellissima come il mare che le sta davanti, e attraversiamo coi protagonisti il periodo famosissimo di Calciopoli, con l’Italia del pallone allora stretta ed angosciata tra la vicenda Moggi e la speranza di un Mondiale alle porte. Giugno 2006, dunque, e la pallonata l’ha scagliata, involontariamente, un ragazzo dai capelli rossi. Chi se l’è presa in fronte è invece un uomo in giacca, cravatta e auricolare sempre pronto. Un uomo delle stelle che se ne è appena andato sulla sabbia a digerire l’ennesima amarezza della sua esistenza, tra sogni di riscatto ed una vita senza emozioni. Una donna mora gli si è concessa qualche istante prima, nella speranza che suo figlio possa essere portato in qualche grande squadra di calcio, un pò come faceva la proletaria siciliana del film di Tornatore, L’uomo delle stelle, appunto, come a ribadire che una volta il sogno era fare il cinema, e oggi è fare il calciatore. Conlusione facile, sulla bocca e nel cervello ormai di tutti, espressa da un film che completa, certifica, con il suo esercizio sentito, e non illumina, non scova, non apre nulla. Poco male, quando il film è ben costruito, gradevole, consistente, cosa che qui, insomma, poca regia, poco ritmo, poche grandi idee, poca poesia e tanta trama. Il che è dipeso anche dall’evidente pochezza di mezzi a disposizione dell’ambizioso e volenteroso Sardiello. Il ragazzo gioca a palla tra le barche con quattro ragazzini, facendo i pali con i rami. L’uomo fa suonare il suo telefono cellulare con le tre parole pronunciate da Nando Martellini la sera dell’11 luglio 1982, la famosa notte madrilena. "Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo". Probabilmente è da quelle parti che l’uomo è "morto", o almeno è "morta" la sua parte originaria, la luminosa, creativa, piacevole faccia del suo essere umano. Qualcosa di simile a ciò che invece brilla intatto sopra il volto di questo strano ragazzino che dribbla solo sulla sabbia e nei giardini pubblici. Che non ha nessuna inclinazione al voler trasformare il suo talento in qualcos’altro, che non ha altro che una naturale predisposizione al gioco del pallone, neanche del calcio, che invece ha tante regole scritte e non, come la vita moderna che schiaccia il povero Solfrizzi. In certi momenti di stupore e disagio, il giovane talento si rifugia dietro la pronuncia di una parola che non ha siginificato alcuno: Poriccie, o qualcosa di simile. L’osservatore si convince sordianamente, nel senso della testardaggine ottusa di certi personaggi di Albertone anni ’50/60 (Il Marito, Il Vedovo, Il Boom) che il ragazzo ce la possa fare, che possa aiutare lui, lo scopritore venduto malvolentieri a certo cinismo, e se stesso, il suo dono naturale, scalando le mille difficoltà del percorso e trovando il massimo della soddisfazione che ora, nella sua assoluta ingenuità non riesce neppure a immaginare. Tra i due si sivluppa un rapporto quasi tra padre e figlio, ed inizia il viaggio nel mondo del pallone italiano.
Non è vero che Il piede di Dio non è un film sul calcio: lo è, e molto, mentre naturalmente è anche altro di più universale. E’ un film su ciò che è diventato il calcio di oggi, su ciò che questo sport rappresenta per il paese, perchè i caratteri dei procuratori raccontati da Sardiello, con toni interessanti da grottesco all’italiana, non sarebbero così dettagliati se il regista non avesse un vero interesse per loro. I genitori dei bambini, poi, così soggiocati dalle chimere offerte dal pianeta calcio, dicono assai del tentativo sardelliano di fotografare il presente italiano attraverso le ottiche del pallone. Il risultato come detto non è del tutto soddisfacente, mentre è apprezabile il tentativo di una commedia atipica in qualche modo legata alla tradizione italiana.
Non sappiamo quali siano i progetti di questo neo autore, se vorrà darci altre prove registiche o se considera questa esperienza come una parentesi utile prima di tutto per conoscere meglio la macchina che studia ed analizza da tantissimi anni: il cinema. In ogni caso in bocca al lupo.
Regia: Luigi Sardiello; Sceneggiatura: Luigi Sardiello; Montaggio: Bruno Sarandrei, Intepreti: Emilio Solfrizzi, Rosaria Russo, Filippo Pucillo; Produzione: Achab Film, Ripley’S film; distribuzione: Achab Film; Origine: Italia 2009
