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Il politico e l’uroboros all’Argot studio

Pubblicato il 28 marzo 2010 da Laura Khasiev


Il politico e l'uroboros all'Argot studio

Si aggiunge un altro tassello alla rassegna tutta al femminile di Vetrina sensibile, con lo spettacolo Il politico e l’urobors di M. Bernardini Pignataro, al teatro Argot Studio, nel cuore di Trastevere. Un salotto borghese fa da “reggia” a due coniugi emblema dell’effimero mondo materialistico, che ben rispecchia parte della società odierna. La vicenda coinvolge un politico avido di potere e privo di valori, preoccupato solo di non perdere potere e di mantenere lo status quo del suo rapporto con la sua moglie-bambola e con la cameriera che insulta e umilia per puro senso di sopraffazione. Le donne sono per lui, quindi, meri oggetti.
Insieme a lui per l’appunto una moglie, considerata poco più di un sopramobile, bella e poco cosciente, che ha sposato l’uomo per interesse.
I due si scambiano confidenze, si esaltano a vicenda, alternando insulti qua è là quando non riescono a contenere la troppa energia che li anima. La prima parte della pièce è incentrata proprio a rappresentare la vita quotidiana di due coniugi che potrebbero essere due qualunque della nostra società, rappresentazione icastica, emblema dell’aridità di sentimenti, della mancanza di valori e di progettualità familiare, interesse per denaro e potere, spoglio da ogni tipo di sentimento e sensibilità nei confronti dell’altro. Ma soprattutto mancanza di un ideale politico, che abbia a cuore i cittadini e la società, questione che ricorda molto l’area politica odierna, caratterizzata da personaggi sono al potere con scopi ben lontani da quelli che dovrebbero avere...
I due personaggi sono speculari, simili quanto basta per accettare un rapporto così privo di senso. Vero protagonista della scena è lo sdoppiamento della reatlà, contesa tra due mondi opposti, uno nel segno del male e l’altro del bene, immagine che rimanda alla duplicità dello yin e yang.
Nella seconda parte, non a caso, lo spettatore è introdotto in un altro mondo, opposto al primo e al limite del fantastico: un Uroboros, dove c’è una Grande Madre in meditazione, che canta nenie dal sapore antico, e una donna, la Giovane Madre, che culla suo figlio.
La loro vita è impostata su un’utopia, quella di creare un mondo diverso da quello che viviamo e conosciamo, in cui tutto sia in armonia, le madri con i loro figli. Del resto L’Uroboros è un simbolo molto antico che rappresenta un serpente che si morde la coda, ricreandosi continuamente e formando così un cerchio. È un simbolo associato all’alchimia, allo Gnosticismo e all’Ermetismo. Utilizzato dalla drammaturga-regista per ricreare un mondo dove la natura ciclica delle cose regna, è la teoria dell’eterno ritorno, e tutto ciò che ha vita compie il suo ciclo che ricomincia dall’inizio dopo aver raggiunto la propria fine. In contrapposizione con la staticità dell’altro mondo, dove a regnare è il politico, uomo che non ha nessun interesse ad un evoluzione ciclica, ma vuole farsi rivotare per poter usufruire di privilegi assieme a sua moglie, mantenendo un assetto tale e quale a quello precedente in cui aveva già assunto il potere. Il mondo dell’ Uroboros è in antitesi con l’altro e si fa portatore di speranza per una diversa concezione della vita, non più impostata sulla concezione che la felicità si possa ricavare solo da potere e soldi, ma fondato su valori differenti, di bene recipoco e serenità tra la gente. Il tentativo del politico, di voler corrompere anche la Grande Madre dell’ Uroboros fallisce, quel mondo appare come una dimensione altra, fuori dalla nostra concezione, improntata su fondamenti che per noi sono sconosciuti e viene rappresentata come qualcosa di incorruttibile, come protetto da un’aura, che lo fa mantenere distante dalla corruzione del nostro mondo. La vittoria delle elezioni va al politico, ma nella mente dello spettatore resta quell’immagine di un mondo auspicato, sognato, forse non reale, ma a cui tutti almeno una volta hanno pensato e che forse nel concreto non si è mai avuto il coraggio di realizzare. Nei due universi contrapposti i due personaggi, il politico e la Giovane Madre, portatori di una volontà di armonia concepita però in manuera differente, per l’uno infatti l’ordine corrisponde ad un potere acquisito anche slealmente, per l’altra è esattamente il contrario, un potere distribuito fra madri che accudiscono i loro figli e che vivono nella libertà più assoluta, conquistata attraverso l’onestà e i buoni propositi.
Un’idea di fondo interessante e piena di spunti di riflessione, dispersa però in una drammaturgia poco chiara e a tratti incompleta, che ha indebolito la resa scenica, sostenuta dall’impeccabile interpretazione delle attrici. Per quanto riguarda infatti l’interpretazione, le attrici che hanno saputo dare il giusto taglio al loro personaggio, mettendo in evidenza quell’opposizione di intenti da rendere sulla scena, inoltre Cecilia Zingaro, che ha vestito i panni dell’avido uomo di potere, ha saputo creare in maniera eccellente la trasformazione, ponendo attenzione ad ogni minimo particolare del politico potente e senza scrupoli, viscido e privo di sensibilità. La mascolinità si è impossessata dell’attrice nella sua gestualità, nella movenza, nella voce e nelle espressioni del viso, assai eloquenti, mostrando una professionalità che raramente si vede in teatro.


(Il politico e l’uroboros); Regia:M. Berardini Pignataro; drammaturgia:M. Berardini Pignataro; produzione: Chandra teatro; costumi: FemminilePlurale; interpreti: (Sylvia Arena), ( Frida Gangi), (Rossella Pretto), (Cecilia Zingaro); teatro e date spettacolo: 15-18 marzo Argot studio; info: Rassegna Vetrina Sensibile;


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