In viaggio con Cecilia

È un viaggio, lo dice il titolo e lo dicono le prime inquadrature in automobile. È il ritorno di un’importante documentarista nella propria terra e nel proprio passato artistico e professionale. C’è il Sud ma piove, vuol dire che della natura, della cantata bellezza del nostro meridione, non si parlerà. Si dirà invece della sua lontana e triste condizione, del suo essere ancora terra che trema. Si dirà del suo eterno e doloroso vivere tra grande bellezza e disumana bruttezza. Si filmerà un’altra pagina dell’infinita guerra tra natura e uomo combattuta sul suolo del nostro polo più caldo e luminoso, si tornerà sullo scontro storico tra grandi forze, un po’ come quei cieli di sole e nuvole inquadrati nel cammino di Cecilia Mangini e Mariangela Barbanente: entrambe documentariste, entrambe nate in quella terra dal violentato splendore. Puglia 2012, Taranto e poi Brindisi, le strade che le collegano, la loro pianura, la loro pietra e poi la fabbrica, il mostro padrone, subito davanti al mare. Che inquadrato da una tangenziale può anche sembrare pittura disturbante e bella, immagine classica dell’euforico e confuso ’900, ma è da vicino, da dentro, che si fa chiara e orribile la sua natura, la sua grande pericolosità. La fabbrica è luogo di confine tra bene e male, è luce e insieme buio di ogni luogo. Ma nel nostro povero Sud agricolo e disoccupato, quella luce è stata spesso lunga il tempo di un rapido abbaglio, prima di un’ombra lunga più di una ciminiera, che ha prima cambiato e poi deluso quella terra. Il Sud è stato ricattato dalla fabbrica, ha pagato un prezzo altissimo per quello che alla fine ha raccolto. È un meridione di fredda estate, quello del film, senza cicale, senza tuffi e senza azzurro. È il meridione del lavoro, dello "sviluppo" e dei problemi. È il meridione che può anche essere bellissimo, ma se poi ti muori di fame? E se per non morir di fame muori di fabbrica? È il Sud sradicato, illuso e tradito ogni volta, "dove la fabbrica ha cambiato le città e poi le ha abbandonate". In viaggio con Cecilia intreccia diversi temi ed è corale per la quantità di protagonisti associati: persone, luoghi e tempi. È Storia di un’Italia ormai lontana, dove la fabbrica fu la grande speranza. E’ uno sguardo amaro sul meridione di oggi, diversamente fragile rispetto a ieri. È un film sulla crisi non solo economica (ma strutturale) che sta stringendo sempre più violentemente le nostre gole. È il racconto di un’amicizia tra due donne e due registe con una ferita in comune, ma è anche, forse prima di ogni altra cosa (e forse meglio di ogni altra cosa) un affettuoso e delicato omaggio a Cecilia Mangini, giovinetta lucidissima del 1927. Per nulla "vecchiaccia", anzi, ragazzina magra e rugosa capace di indignarsi e ragionare ancora come una giovane agguerrita che incita i compagni ad imbrattare i muri. Colpiscono la freschezza del suo pensiero, la semplicità e la precisione delle sue domande, il suo guardare serena e pulita gli altri, la serietà fitta di ironia del suo ragionamento, la facilità del suo racconto su un Paese cambiato tante volte, e gettato poi nell’immondizia un pezzettino alla volta, con una lentezza e una costanza micidiali, a partire dagli anni ’80. La Mangini, macchina da presa alla mano, raccontò la fine del mondo contadino in Puglia nel secondo dopoguerra, l’arrivo della grande industria e gli stati d’animo che accompagnarono tale cambiamento. Oggi una telecamerina più leggera incontra le stesse persone che la regista chiamò a testimoniare molti anni fa, e un po’ come aveva fatto Daniele Vicari con Il mio Paese nel 2006, le due autrici mettono a confronto le parole di un tempo con quelle di oggi, tirando un bilancio che da individuale diventa immediatamente collettivo. Da braccianti a cassaintegrati ed ammalati di tumore, per una musica che è cambiata ma il cui testo racconta sempre una storia di fatica e dolore, in un presente dove il costo del lavoro è diventato altissimo, e la tentazione di produrre altrove si fa sempre più forte. In un presente con un grande problema ancora irrisolto: esiste una seconda strada? Esiste da qualche parte un’alternativa speranza di progresso? Se come dice la Barbanente, c’è maggiore consapevolezza oggi al Sud, se c’è nell’aria quella certa voglia di reagire, se la Storia, come lei sostiene, si sta forse rimettendo in moto, ecco quelle immagini di vicoli ubriachi di giovani per nulla felici e reattivi, che fa subito scattare una nuova contraddizione. La classe operaia si è dissolta, cosa unisce questi giovani impauriti, muti e soli? Che futuro c’è per loro e per il loro Sud?
Regia: Cecilia Mangini, Mariangela Barbanente; interpreti: Cecilia Mangini (se stessa), Mariangela Barbanente (se stessa). produzione: GIOIA AVVANTAGGIATO PER GA&A PRODUCTIONS, IN COLLABORAZIONE CON ELENFANT FILM, RAI CINEMA, APULIA FILM FUND
