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Incontro con Dario Argento

Pubblicato il 8 dicembre 2003 da Mazzino Montinari


Incontro con Dario Argento

Il due gennaio esce Il cartaio, l’ultimo film di Dario Argento, atteso a lungo e promesso a vari festival, Venezia 60 compreso. Una pellicola girata alla maniera degli anni ’70, ma con la fotografia in stile Dogma 95. Protagonista Stefania Rocca, ispettore che dà la caccia ad un serial killer. Nell’attesa abbiamo incontrato il regista. Un’occasione per sapere qualcosa de Il cartaio, ma anche per criticare le quotidiane banalità delle televisioni e per sottolineare la rinascita del cinema di genere in Italia.

Cosa vedremo il due gennaio in sala?

Il cartaio come idea nasce prima di Non ho sonno. È la storia di un uomo che sfida, anzi che gioca con la polizia. Ogni volta, in questa sorta di macabro video-poker, in palio c’è una ragazza che viene rapita e uccisa se l’assassino vince la partita. Di solito, quando mi vengono le idee semplici il film riesce bene perché ho tempo per fantasticarci sopra. Se devo pensare subito a una trama complicata poi la storia risulta farraginosa”.

Nel film l’elettronica è al centro della storia. Lo è anche per quanto riguarda la sua realizzazione?

Nella lotta tra il serial killer e la polizia, l’elettronica ha indubbiamente un peso rilevante. Da questo punto di vista è un thriller contemporaneo che racconta una società evoluta tecnologicamente. Mostro il mondo delle chatline, ed è quasi un film virtuale. È stato molto divertente farsi una cultura su videogiochi, internet e più in generale sui computer. Come è stato interessante conoscere i nuovi strumenti per le indagini usati dalla polizia. Detto ciò, non ho usato effetti speciali digitali. Il lavoro di Sergio Stivaletti è tutto artigianale, a parte un paio di correzioni che necessariamente sono state fatte in post-produzione con il computer. In tal senso, Il cartaio è una pellicola girata allo stesso modo di quelle degli anni ’70, con i trucchi realizzati manualmente.

Una novità è invece rappresentata dalla fotografia.

Le tesi del Manifesto Dogma sono suggestive, soprattutto per quel che concerne la fotografia. Con Il cartaio ho applicato l’idea di girare facendo a meno delle luci artificiali. Ho chiamato il direttore della fotografia di In the Mood for Love (Cristopher Doyle, ndr), ma non si è mostrato particolarmente interessato a lavorare in Italia. Allora, mi sono rivolto a Benoit Debie che inizialmente era perplesso perché temeva che la resa finale delle immagini potesse non soddisfarmi. L’ho rassicurato. A me non interessava che i volti potessero venire scuri, magari con l’ombra sotto il naso, o che gli ambienti potessero risultare troppo bui. Io ho insistito sulle luci naturali in modo da ottenere un effetto più reale, genuino e crudele. E comunque alla produzione non ho rivelato le mie intenzioni. Non si sa mai.

Hai subito pensato a Stefania Rocca?

Era da molto tempo che seguivo le sue vicende artistiche e quando ho scritto Il cartaio ho pensato subito a lei. Ho incontrato molte donne che svolgono funzioni di comando nei reparti di polizia. Sono forti e intelligenti. Dure, forse anche più riflessive degli uomini. Per cui non ho avuto dubbi sul fatto che la protagonista dovesse essere una donna. Stefania, che interpreta Anna Mari, un ispettore della sezione persone scomparse, è un’attrice adatta per un personaggio cupo, che se ride lo fa ironicamente. Una donna complessa e chiusa in se stessa, dedita al lavoro, professionale e fredda che, però, nel privato diventa fragile e incerta. Stefania è perfetta per questo ruolo proprio perché le appartiene questa doppia dimensione.

Rispetto a trent’anni fa, oggi è più difficile fare film di genere?

Realizzo pellicole che fanno riferimento a vari generi: dai gialli, all’horror fino ai film d’azione. Dopo due gialli, il prossimo sarà un horror che segnerà la conclusione della trilogia delle TRE MADRI. No, non credo proprio che le cose siano cambiate. Ultimamente va detto che il pubblico ha dimostrato un rinnovato interessamento al cinema di genere. Un cinema capace di mostrare storie più interessanti di quelle esibite nelle fiction televisive che, al contrario, propongono una polizia mezza disgraziata da fumetto, senza personalità, da ridere. Nel cinema si può cercare di dare ai personaggi più realtà, più psicologia e verità. In televisione vedi sempre le solite vicende familiari. Viene rappresentata un’Italia che non c’è più e che si trova solo ed esclusivamente nelle fiction”.

Con le prossime uscite dei film di Infascelli, Puglielli e Grieco, non sei più l’unico a proporre un cinema di genere.

È vero c’è un grosso risveglio. L’Italia arriva comunque per ultima, dopo l’America, la Francia, la Spagna e altre cinematografie nazionali. Indubbiamente un ruolo importante lo gioca la letteratura che è un traino per il cinema. Ad esempio, gli spagnoli hanno realizzato horror, fantasy e noir tratti da libri molto interessanti. In Italia, la nuova generazione di scrittori è stata presa in considerazione solo ultimamente. Ed è fatale che prima o poi si stabilisca un sodalizio con il cinema. Spero che i nostri scrittori non cedano alle lusinghe delle televisioni.

La nostra televisione non ti piace proprio.

Purtroppo in Italia la televisione è diventato un passaggio obbligato, ed è per questo motivo che le storie vengono ammorbidite e appiattite. I dirigenti delle televisioni sono micidiali per l’immaginazione di un regista cinematografico. Loro pensano solo all’oggi, alla prima serata e dunque non tollerano alcuna scorrettezza narrativa. I film devono avere un’aria popolaresca e così le storie vengono rese innocue e stupide. Quello che suggerisco ai registi è di fare cinema per il cinema e non per Mediaset o la Rai”.

E se si presentasse alla porta della Rai o di Mediaset un autore come Dario Argento?

La televisione vincerà comunque, è un mostro che mangia tutto. Non importa chi sei e cosa hai fatto, per il semplice motivo che non si pensa mai al domani e al dopodomani. Quello che conta è l’oggi, ossia ciò che si presume il pubblico voglia in questo preciso momento. Non ci si pone il problema di pensare a quello che potrebbe piacere tra sei mesi, ma neanche tra una settimana. Volevo fare un progetto televisivo tipo Hitchcock racconta. La Rai ne parla periodicamente ma poi non se ne fa mai niente. Allora preferisco fare cinema ed evitare quei funzionari che prendono bei stipendi senza fare niente se non, addirittura, intervenire nel merito dei film. Ti suggeriscono cosa e come girare come se fossero dei registi. Mi fanno andare fuori di testa.

[dicembre 2003]


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