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Venezia 71 - Intervista a Giuliano Taviani compositore di Anime Nere di Francesco Munzi

Pubblicato il 31 agosto 2014 da Fabiana Sargentini


Venezia 71 - Intervista a Giuliano Taviani compositore di Anime Nere di Francesco Munzi

Premettendo che ho trovato il tuo lavoro in Anime nere molto maturo all’interno del tuo percorso professionale, quale è stato il processo di lavorazione con Francesco Munzi?

Reinventare il rapporto con il regista cambia ogni volta, entrare nel suo mondo è difficile e fondamentale, Francesco ha idee precise, un pensiero musicale sui film essenziale. Fa un uso della musica molto moderato, simile ai fratelli Dardenne, rigoroso: ogni intervento musicale ha dietro un senso e bisogna esprimerlo al meglio. Come compositore, per prima cosa leggo la sceneggiatura, prima delle riprese di solito scrivo alcuni pezzi, per fornire una mia visione prima delle immagini. Sono geloso delle prime idee, non le faccio sentire al regista, sono il mio modo privato di esprimere quello che mi comunica il film. Ad esempio sull’ultima scena di questo film, che culmina nei titoli di coda, c’è una musica scritta di getto sull’emozione della sceneggiatura.

Tu e Francesco siete amici di lunga data, quanto il vostro rapporto influenza il vostro modo di lavorare?

Essere amici è un’arma a doppio taglio: può aiutare oppure peggiorare, possono accadere ambedue le cose. In questo caso si tratta di un lavoro psicologico forte, conoscere bene Francesco mi aiuta, penso di sapere quello che gli piace e quello che non gli piace. A livello personale, mi è capitato di far nascere amicizie sul lavoro, a volte può essere un problema, bisogna stare attenti, nella confidenza sincera da amico si rischia di dire troppo, anche su campi che esulano dal proprio. Alexandre Desplat, presidente della giuria quest’anno qui a Venezia, dice che il musicista è uno degli autori del film, e in quanto tale ho il piacere e sento il dovere di consigliare, e criticare eventualmente, a prescindere dalla musica, proprio per produrre insieme al regista, e a tutti gli altri collaboratori, un grande risultato comune.

Per Anime nere che tipo di strumenti e orchestra hai usato?

L’organico è essenziale e rigoroso come il film. Ho da subito saputo che non avrei avuto bisogno di una grande orchestra, la musica va all’essenziale dei personaggi e della storia: del mondo mostruoso di criminosità, Francesco privilegia il racconto dei rapporti dei personaggi. In sintonia con questa scelta ho preferito usare una piccola formazione, un quartetto di archi, più qualcosa di elettronico.

Ho letto nei titoli di coda che hai usato la voce di Massimo Di Lorenzo, come mai?

Massimo Di Lorenzo è un amico attore ed è calabrese. Avevo scritto questa canzone in calabrese, avevo bisogno di capire se funzionava e allora gli ho detto: fammi un favore, prova tu a cantarmela pensando di farla eseguire successivamente da una cantante calabrese. La prova è venuta bene, ha convinto sia me che il regista che il montatore ed eccola nel film. Ricalca un modello di musica tipicamente tradizionale, contiene l’elemento etnico del dialetto ma è una musica elettronica quasi techno e, attraverso questo mix di generi differenti, diventa un’altra cosa. Ogni film è diverso, quando stai per iniziare provi divertimento e terrore allo stesso tempo, doversi reinventare completamente è stimolante ma non facile, bisogna provare a fare qualcosa di nuovo, a trasgredire le regole: quando ci si riesce è una sfida vinta. Questa volta all’inizio pensavo di puntare molto sull’elettronica. Diciamo che la techno corrisponde alla criminalità e, di contro, l’uso di violino e quartetto d’archi rappresenta l’anima dei personaggi.

Come ti sembra sia usata la musica nei film in generale? Ti piace o pensi, che si osi poco, che spesso si ripetano soluzioni sempre uguali a se stesse?

Gli americani, che ho sempre amato, negli ultimi tempi sembrano riproporre tutti le stesse musiche, mai novità, molto riduttivo. In questa epoca, a mio avviso è interessante sperimentare gli strumenti elettronici, che sono ormai alla portata di tutti, preziosi per bassi budget, ma non solo. Certo così il rischio di omologazione è alto. Ti faccio un esempio: pochi giorni fa, per un nuovo film a cui sto lavorando, mi arriva una scena di tensione con percussioni, il regista e il montatore, come spesso accade, avevano appoggiato musiche provvisorie sulle immagini. Facendo delle ricerche ho ritrovato l’atmosfera giusta, esattamente lo stesso suono, che poi apparteneva originariamente alla grande produzione di Spider Man. Avrei potuto usare anch’io quel suono, avrei potuto farlo tranquillamente, ma poi ho preferito percussioni vere. In generale spesso c’è un abuso di musica nei film. In molti mi prendono in giro perché tendo a togliere: al mix, prima di chiudere il film, dico: ragioniamo, siamo sicuri, questa è l’ultima volta che possiamo scegliere, togliamo? Non a caso, nelle recensioni è difficile trovare un commento alla musica, se c’è è quasi sempre per affermare che ce n’è troppa. Si crede che la musica possa servire a mascherare problemi ed errori invece, purtroppo o per fortuna, non possiede questa bacchetta magica. Da musicista penso che la musica non può cambiare molto un film. Un bel film con una musica bella diventa sublime, ma non può cambiare il senso o la bellezza dell’opera. Un film bello con una musica brutta lo può diminuire un po’ ma non renderlo completamente di segno opposto. Non ho mai visto, o è raro, un film bellissimo con una musica brutta. Dietro un buon film c’è un regista che ha competenza e sa rendersi conto se una musica sia giusta o no. Quando mi è capitato di lavorare a un film bello la spinta a fare una musica all’altezza è uno stato di apprensione produttivo, che aiuta la creatività e la stimola. Le emozioni sono chiare in un film molto bello, se io capisco perfettamente l’emozione sono in grado di renderla, se il film è più caotico sono guai per tutti.

Quali sono i bei film a cui hai partecipato dove ti sembra che il tuo apporto abbia contribuito alla riuscita della bellezza complessiva dell’opera?

Cesare deve morire è stato un lavoro forte, bello e appassionante, la paura di non essere all’altezza era altissima, ma essere, rispettivamente, figlio e nipote dei registi, mi aiutava alla comprensione della loro visione e mi ha stimolato positivamente. Con Francesco (Munzi) in Saimir, sua opera prima, pochissime musiche, bel lavoro gratificante. Ora o mai più di Pellegrini, sul G8 di Genova, forse per via del tema che mi toccava ed era ancora caldissimo, è stato girato tra il 2003 e il 2004, e per via del mio incontro con Lucio, regista con idee musicali chiarissime. Una assoluta libertà creativa, sentire il progetto, incontrarsi col regista e capire il suo mondo, queste le condizioni migliori per lavorare bene, con soddisfazione e risultati felici. Il mio è un lavoro individuale, personale, in cui mi chiudo nel mio studio e provo e riprovo, per ore e ore, giorni e giorni, in solitudine assoluta, senza confrontarmi con nessuno. Da solo posso sbagliare, osare, rischiare: non si può spiegare troppo sulla musica senza farla, a parole si dice poco.


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