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Intervista a Marco Valerio Gallo, storyboard artist di ’Lo chiamavano Jeeg Robot’

Pubblicato il 20 luglio 2016 da Carlo Dutto


Intervista a Marco Valerio Gallo, storyboard artist di 'Lo chiamavano Jeeg Robot'

È il fenomeno cinematografico dell’anno. Non c’è festival o rassegna che non lo abbia in cartellone. Il suo regista, Gabriele Mainetti, trotta in un tour in tutta Italia e non solo (mitico l’incontro in Giappone con Go Nagai...). Stiamo parlando di Lo chiamavano Jeeg Robot, naturalmente.

Close-Up ha intervistato in esclusiva Marco Valerio Gallo, autore degli storyboard del film [nella foto e in fondo nella gallery], un aspetto poco battuto dai media ma che interessa molto, sia per l’aspetto visivo del lavoro di Marco, eccellente e anche recentemente premiato, sia perchè risulta interessante analizzare di un film tanto dibattuto, un lato importante e poco conosciuto, se non dagli appassionati. Marco da anni realizza storyboard per produzioni cinematografiche (Bar Sport, Il ragazzo invisibile, Pericle il nero e Tutto per una ragazza, di Andrea Molaioli, in uscita, tratto dal libro di Nick Hornby), fiction ( Il Capo dei Capi, I Liceali, RIS 5, Braccialetti Rossi 3 e Pietro Mennea) e lavori anche della BBC (Zen). In pubblicità ha lavorato per Toyota, Ponti, Ferrero, Angelini, Missoni e Honda.

Come sei entrato a far parte della ‘squadra’ di Jeeg Robot? Ti hanno mandato la sceneggiatura e ti hanno segnalato cosa dovevi disegnare?

Ho conosciuto Gabriele Mainetti grazie a un amico comune, Pierluca Di Pasquale, anche lui regista, con cui collaboro da anni. A Gabriele serviva uno storyboard per visualizzare quello che aveva in mente, ci siamo conosciuti e abbiamo lavorato da subito con grande sintonia. Gabriele è un professionista eccezionale, con una preparazione tecnica invidiabile.
Leggendo la sceneggiatura sono rimasto sorpreso perchè il soggetto era decisamente diverso da tutti quelli che mi è capitato di leggere. Ricordo che parlandone dicevo che, se lo avessero fatto davvero, sarebbe stato qualcosa di innovativo e soprattutto coraggioso per gli standard dei film realizzati in Italia negli ultimi quindici anni, salvo eccezioni.. Direi che il risultato finale non ha deluso le attese. Per quanto riguarda il lavoro da fare, Gabriele aveva una sua shotlist e abbiamo discusso insieme le scene di cui aveva bisogno.

Di quante e quali fasi consta il tuo lavoro come storyboard artist? Quante tavole hai disegnato per il film e che tipo di ‘precisione’ ti e’ stata chiesta?

Il mio lavoro inizia con la lettura della sceneggiatura e il successivo confronto con il regista. Generalmente, in questa fase, si fa uno storyboard rough, ovvero degli schizzi molto veloci e non definiti, si analizzano le scene che necessitano di essere ’storyboardate’, si butta giù uno storyboard indicativo che poi viene discusso, ampliato e tagliato. La parte di rifinitura avviene soltanto quando un’intera sequenza è stata approvata, ed è la parte più meccanica del lavoro, si tratta di rendere lo storyboard più leggibile e bello a vedersi. Per quanto riguarda Jeeg, il lavoro che abbiamo fatto con Gabriele, riguarda la scena iniziale e tutta la sequenza finale del film, dall’arrivo allo stadio fino all’epilogo.

Hai avuto spazi di manovra creativa, nel costruire le scene e le inquadrature? Potevi anche inventare una tipologia di inquadratura (primo piano, plongee, movimenti di macchina) o era tutto gia’ nello script?

Beh, per quanto riguarda Jeeg, sono davvero felice di poter dire che questo non è stato necessario. Mi spiego meglio. Generalmente mi si chiede di inventare e suggerire idee, spesso mi capita di proporre soluzioni registiche e movimenti di macchina, ma nel caso di Jeeg, questo non è servito, semplicemente perchè, come accennavo prima, Gabriele Mainetti sapeva benissimo quello che voleva e aveva in mente un preciso taglio di regia. Lavorando con lui, mi sono da subito reso conto, che aveva letteralmente il film in testa. Non devo essere io a dirlo ma è evidente che Gabriele sia un regista tecnicamente preparatissimo con un senso della regia invidiabile. Ma soprattutto, dico io, sa raccontare bene. Guardando Jeeg, hai la sensazione di un racconto fluido,che scorre senza pause e ti prende dall’inizio alla fine, è un film potente e allo stesso tempo elegante. Per quanto riguarda il mio lavoro, tutta la scena dello stadio mi è stata raccontata in modo dettagliato: mi sono state chieste inquadrature precise e funzionali a quello che ci si apprestava a girare. Poi, certo, strada facendo è cambiato qualcosa, ma questo accade normalmente, perchè ragionandoci sopra, le cose si migliorano, o magari ci si accorge che alcune sequenze non servono. Inoltre, c’è da considerare i VFX e la fattibilità o meno di alcune scene, che spesso incidono sulle scelte registiche. Credo che con Jeeg lo spettatore non rimanga mai deluso, io personalmente, guardandolo, non ho mai avuto la sensazione che alcune cose siano state fatte perchè non se ne potevano fare altre e questo non fa che confermare ulteriormente la bravura di chi ha realizzato questo gioiellino, oltre a Gabriele in primis, faccio per l’ennesima volta i complimenti a tutti quelli che hanno lavorato a questo film, che è stato realizzato da persone che hanno letteralmente dato tutto e che hanno creduto da subito alla forza di questo racconto. E poi, che dire, da ragazzino ero ’malato’ per Jeeg, lavorare per questo film è stato davvero bello.

Quanto di ’fumettistico’ hai messo nel tuo lavoro di storyboard?

Sono praticamente cresciuto nella Scuola Romana dei Fumetti, dove ora insegno, per cui la parola giusta con la quale rispondo è "tanto".
Ho da sempre avuto una passione smodata per il cinema e per i fumetti, così quando ho scoperto che potevo disegnare per il cinema, ho provato a prendere questa strada. Nella mia formazione di storyboard artist il fumetto è stato fondamentale, il mio lavoro è raccontare per immagini, dare dinamismo ai personaggi, farli muovere, proporre inquadrature, proporre uno storytelling adeguato a quello che richiede una determinata sequenza, infine, quando è possibile, cerco sempre di dare ai miei storyboard un look quantomeno piacevole a vedersi. In tutte queste cose, una formazione fumettistica aiuta. Per fare un buon fumetto, bisogna saper raccontare bene, e questo è necessario anche per una buona regia. Per non parlare dello studio della prospettiva, elemento fondamentale per disegnare uno storyboard ben fatto. Alla scuola ho avuto la fortuna di avere grandi maestri come Massimo Rotundo e tanti altri e Paolo Morales da cui ho imparato cosa fosse uno storyboard.

Quanto dei tuoi disegni effettivamente e’ stato trasposto similmente o in modo identico sullo schermo?

Direi abbastanza, come dicevo c’era un precisa idea di regia e in molti punti è rimasta come da storyboard, in altri come spiegavo prima qualcosa è cambiato, per esigenze diverse.

Hai da poco ritirato il Premio Pellicola d’Oro come miglior storyboard dell’anno, premio che veniva consegnato per la prima volta, che emozioni ti ha regalato ricevere un premio, cosa rarissima per un lavoro a torto spesso definito ‘di maestranza’ come lo storyboard?

Per me è stata una grande emozione, come vincitore, rappresentare la categoria degli storyboard artist che per la prima volta riceve un premio cinematografico. Devo essere sincero, io ero in concorso con un film che ha pesato molto in questa vittoria. Spero che questo possa essere l’inizio di un cammino nuovo per tutti i professionisti del settore, perchè al di là del premio, la cosa importante è che finalmente si cominci a parlare di Storyboard come professione e che questa riceva il riconoscimento che merita. In dieci anni di attività, ho lavorato a tantissimi film, la maggior parte delle volte neanche si sapeva che era stato fatto uno storyboard. Il fatto che gli storyboard artist da quest’anno ricevano un premio, è qualcosa di epocale, perchè da ora in poi, tutti i lavori di storyboard dovranno essere creditati e soprattutto riconosciuti, perchè dovranno essere comunicati nelle schede dei film che partecipano ai premi, cosa che ha fatto la Goon Films e, credimi, non era per nulla scontato. Li ringrazio ancora! E’ questo l’aspetto più importante, al di là del premio, anche perchè uno storyboard può essere ben fatto e ben disegnato quanto un altro, decidere quale sia il miglior storyboard è soggettivo e dipende anche dal film con cui concorre, dalle sequenze più o meno spettacolari, dal taglio di regia. Alla base però rimane sempre il fatto che bisogna saper raccontare e disegnare bene. Aggiungo che definire ’maestranza’ uno storyboard, credo sia anche riduttivo, perchè è un tipo di lavoro che richiede una preparazione molto ampia, oltre il disegno e comunque è un lavoro creativo che richiede una specifica professionalità. Un buon disegnatore non è detto che sia anche un bravo storyboard artist.

In questo momento hai nel cassetto altri lavori come storyboard artist e se si, che linea darai al prossimo lavoro ?

Ho da poco finito di lavorare a ’Brutti e Cattivi’, per la regia di Cosimo Gomez, altro film su cui punterei forte. Anche questa è stata un’esperienza importante. Tra i protagonisti ho avuto il piacere di ritrovare Claudio Santamaria insieme a Marco D’Amore e Sara Serraiocco. Ho un paio di lavori come storyboard in partenza. Lo stile che uso generalmente è quello che si può vedere nelle tavole realizzate per Jeeg o in tutti i miei lavori più recenti. Mi piace usare una mezza tinta, in digitale e rendere molto leggibile lo storyboard con l’uso di frecce di diverso colore, il rosso per il movimento degli attori, e il verde per i movimenti di macchina. Fare le frecce rosse è una cosa che mi porto dietro dagli storyboard di animazione, qualche volta ho lavorato anche a quello. Ho iniziato a farle rosse dopo qualche anno che lavoravo e ho visto che funziona bene, sono molto ben leggibili.

Dopo anni di attività nel campo dello storyboard come pensi cambiera’ il lavoro dello storyboard artist in generale e nel tuo specifico?

Mi piacerebbe che lo storyboard fosse sdoganato, che fossero sempre meno le persone a cui bisogna spiegare che tipo di lavoro sia! Devo dire che quando ho iniziato era dura, si facevano meno storyboard, negli ultimi anni molti addetti ai lavori, hanno capito l’utilità di questo lavoro, hanno capito che fa risparmiare soldi, tempo, fornisce alternative valide alla regia, e soprattutto si arriva sul set con le idee molto chiare. Devi pensare che lo storyboard è utile a tutti i reparti, una volta definito con la regia, viene pubblicato e distribuito alla troupe. Inoltre è necessario per i VFX, per capirne i costi, e soprattutto come farli e che tipo di effetto sia più o meno adatto a una determinata scena. In pubblicità, poi, senza lo storyboard non si gira nulla: è fondamentale per mostrare un’anteprima dello spot al cliente e per i motivi di cui ho già detto. Ma penso anche ai videogames. Questo mi porta a dire che il futuro di questa professione è assolutamente in discesa. Per quanto mi riguarda, cerco di fare del mio meglio per lavorare a progetti sempre più importanti.

Da qualche tempo si recepisce una sempre maggiore attenzione dei media e quindi del pubblico verso il mondo dei fumetti e dell’animazione, quale secondo te il segreto di questo mutamento?

Credo che stiamo entrando in un momento storico in cui le arti figurative stanno tornando prepotentemente alla ribalta. Per me non è un crescendo di attenzione, ma un ritorno, e mi vengono in mente gli anni Settanta e Ottanta. C’ erano riviste di fumetti importantissime. Penso a Hugo Pratt, Milo Manara, Tanino Liberatore, Vittorio Giardino, Andrea Pazienza e molti altri. Penso alla grande attenzione che c’era all’epoca nei confronti di questi artisti. Abbiamo avuto e abbiamo tuttora grandi disegnatori, anche di nuovi, che saranno i prossimi grandi Maestri. Questo mi fa piacere, mi fa ben sperare. Io credo che quando un’immagine è ben costruita e ben disegnata abbia pochi rivali nel catturare l’attenzione di uno spettatore. Quando si ammira una bella copertina di un libro o di un fumetto, anche se non si è un appassionato, si è più propensi a sfogliarlo. Mi vengono in mente le meravigliose locandine cinematografiche di Drew Struzan, un Maestro assoluto. Chi non ha mai visto la locandina di Indiana Jones? O quelle di Star Wars? O quella dei Goonies? La mia generazione è cresciuta con le locandine di Struzan, molti non sanno chi sia, ma tutti conoscono i suoi disegni, anche chi non si occupa di cinema se ne ricorda, e questo perchè sono immagini fantastiche, disegnate con grande maestria e costruite in modo impeccabile. Inoltre, raccontavano una storia, il suo modo di presentare i personaggi, i dettagli e i particolari, le rendevano uniche e ricordo che vedendole, non vedevo l’ora di andare a guardare il film. Ho fatto questo esempio perchè quelle erano immagini che stupivano, colpivano e raggiungevano lo scopo di creare interesse nell’osservatore. Quando vediamo una bella illustrazione, ci stupiamo di fronte alla bravura di chi l’ha realizzata. Penso che in questo momento il disegno in generale sia qualcosa che sta prendendo tanto, sta tornando a stupire anche grazie al fatto che siamo in un’epoca digitale, dove facilmente possiamo accedere a contenuti infiniti, milioni di immagini, video, disegni. Inoltre ci sono tecnologie che permettono ormai di disegnare in modo molto più veloce e questo ha aumentato produzione e possibilità. Oggi, chiunque può pubblicare su internet e spesso farsi conoscere, inoltre tutti usano internet, tutti guardano, trovano e scoprono ’cose’. Probabilmente anche l’arte ha beneficiato di questo processo. La Storia è fatta di cicli che si ripetono con varianti dovute alle situazioni e l’arte da sempre ci accompagna e sempre continuerà ad accompagnarci.

Roma, luglio 2016

Le tavole dello storyboard di ’Lo chiamavano Jeeg Robot’ sono concesse gentilmente dall’autore



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