Intervista con Cono Cinquemani: Valigie piene di donne - A siculish drama
Roma, 16 aprile 2015
Valigie piene di donne - A siculish drama è uno spettacolo scritto e diretto dal cantautore Cono Cinquemani. Intervistato presso il Teatro Arciliuto il regista spiega, con passione, le ragioni che lo hanno portato a sviluppare il tema della crisi dell’uomo marginale e dell’emigrante, utilizzando la musica e il siculish, lingua trasformativa nata dalla fusione di diversi dialetti siciliani con l’angloamericano.
Come nasce Valigie piene di donne - A siculish drama?
Lo spettacolo nasce dal grande interesse che nutro per le lingue trasformative e per i cambiamenti linguistici. Si tratta di un settore che mi affascina e che studio da tempo. Esiste già lo spanglish, fenomeno che fonde la lingua della cultura ispanica con quella della cultura americana, lo spagnolo con l’inglese. Allo stesso modo ho scoperto che nei sobborghi italoamericani, in tutte le Little Italy presenti in America, nacque un germe linguistico inizialmente definito brookolino, dal nome del quartiere più famoso degli italoamericani: Brooklyn. Brookolino e Nuova York erano le parole più conosciute ma conversando con gli abitanti del luogo mi sono accorto di come questo linguaggio non si fermasse a pochi termini ma rappresentasse un vero e proprio frasario. Interi periodi costruiti in siculo-americano come quello inserito all’interno della piecé e pronunciato dalla nonna. L’anziana signora invita il nipotino, che non conosce questa lingua ma padroneggia perfettamente l’angloamericano, a mangiare una torta dicendogli: «Jhonny attaja ‘sta checca»; espressione derivante da to cut this cake. Un vero e proprio codice di comunicazione.
Perché studiare questo tipo di lingua? Perché appassionarsi a una situazione culturale del genere?
Negli ultimi decenni del Trecento, la fine della scuola siciliana e la crescente importanza della scuola toscana, del fiorentino determinano la progressiva perdita di identità, di spessore e di valore del siciliano letterario. La lingua si divise in una miriade di dialetti diversi e ancora oggi non c’è un siciliano codificato ma esistono il catanese, il palermitano, il messinese. Il napoletano, più codificato, possiede un’unicità diversa, dovuta anche all’esistenza di una cultura, di una letteratura, di un teatro, di testi di riferimento partenopei. Volendo trovare un “siciliano comune”, tra le molte varianti, sono incappato nel siculish. Una scoperta realizzata partendo da un libro di Leonardo Sciascia. Nel testo lo scrittore faceva riferimento a un altro suo racconto, intitolato La zia d’America, in cui l’autore ha inserito i primi termini siculish. Un pioniere.
Come spiegare il connubio tra musica e parole all’interno dello spettacolo?
Il mezzo musicale è diventato il canale attraverso cui poter veicolare il messaggio più facilmente. Elaborando il testo ho voluto creare e lasciare una traccia ma con l’aggiunta della musica lo scritto è diventato un’appendice. La forma-canzone possiede immediatezza, il testo teatrale ha invece la possibilità di spaziare, di inserire più temi. Quando si scrive una canzone ci si deve necessariamente attenere ai canonici tre minuti, nel testo teatrale si ha la possibilità di raccontare il fenomeno dall’inizio alla fine. Volevo lasciare una traccia. Il siculish è un fenomeno ascrivibile alla prima o forse alla seconda generazione dei siculo-americani perché la grande immigrazione verso il Nuovo Mondo cominciò sul finire dell’Ottocento ed è ancora in atto. Tuttavia è necessario sottolineare che la vera contaminazione linguistica si verificò tra il 1840 e i primi anni del Novecento. Infatti dal 1940-1950 in poi i siculo-americani si integrarono perfettamente e moltissimi siciliani diventarono esponenti politici importanti, sindaci di New York. Il periodo che precede questa integrazione non è stato abbastanza studiato, non è stato sufficientemente messo in scena. Con il mio spettacolo ho voluto rispolverare quel momento storico dando dignità a una particolare lingua trasformativa: il siculish, restaurando qualcosa che altrimenti sarebbe andata perduta definitivamente.
Cosa dire a proposito delle due donne dello spettacolo?
La musicista Piera Mussardo e l’attrice Monia Manzo non sono affatto trascurabili anche se nello spettacolo vengono portate in scena figure secondarie. Si tratta di personaggi femminili marginali perché camminano sul filo della teoria dell’uomo marginale; tesi che in sociologia descrive la crisi vissuta dal viaggiatore. L’emigrante si trova in una terra di mezzo, ugualmente distante dalla cultura del paese di origine e del paese ospitante. Ciò comporta serie difficoltà nell’identificazione personale. All’interno della rappresentazione compaiono due donne, due figure marginali. Le storie al femminile sono le mie preferite. Infatti credo che le attrici sappiano totalizzare il tutto da sole, senza l’aiuto del regista. Hanno un senso di ambivalenza innato. Monia Manzo interpreta Favola Cinquemani e Mira: il pino e la palma, il polo e l’equatore. Da una parte la siciliana che riesce a integrarsi e dall’altra l’emigrata che non saprà mai farlo. Pensandoci ho creato molti personaggi femminili e pochi ruoli maschili.
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