Intervista con Stefano Tealdi, coordinatore del workshop “Documentary in Europe”

Qual è l’importanza di questa iniziativa per un documentarista italiano?
Oggi un giovane filmmaker che ha un idea in cui crede, non ha la possibilità di “pitchare” un progetto alla Rai, perché non esiste una struttura predisposta, degli editors che se ne occupano e una volontà seria; Mediaset è un canale commerciale che non è interessata e i canali satellitari oggi investono così poco che possono dare solo una “monetina” se apprezzano il progetto. Venire qui per un autore è un apertura: da un lato ci sono degli editors che se sono interessati al progetto si siedono a parlare con lui e se anche questo non vuol dire che lo finanzieranno con certezza, possono dare delle indicazioni molto utili vista la loro grande esperienza. Qui si crea il confronto fra professionisti del settore che collaborano. I filmmaker non devono fare film da soli, si devono confrontare.
E’ cambiato qualcosa in questi anni nella produzione di documentari in Italia?
Io non ho visto nessun cambiamento, qui la televisione pubblica non è mai venuta, nonostante gli inviti continui. So che l’associazione doc.it sta avendo incontri ad alto livello per discutere del documentario. C’è bisogno di una legge che tolga dal controllo politico la televisione e la consegni a degli esperti del settore. Ma se c’è una cosa che distingue il documentarista dagli altri è il fatto che sia un super ottimista, perché se non lo si è , non si fanno documentari.
Che cosa può raccontare il documentario, oggi, di diverso dal cinema?
Secondo me il documentario può raccontare “l’oggi”, il nostro modo di vivere, in un modo che va oltre la superficie; cosa che la televisione attualmente non riesce a fare e il cinema e ha grande difficoltà a fare. Il documentario è difficile, ci si impiega molto a produrlo, ma ha l’enorme pregio di riprendere racconti dal vero e mostrarci cosa stiamo facendo, dove stiamo andando, ci mostra i conflitti e ci aiuta nel recupero della memoria. Non dico che il cinema non possa farlo...ma il costo minore del documentario permette di provare e sperimentare di più grazie anche alle nuove tecnologie. Tuttavia il minor costo rispetto alla fiction non vuol dire che si debba investire poco, perché per avere lavori di qualità bisogna dare la possibilità agli autori di sviluppare il proprio progetto, fare delle ricerche, seguire gli sviluppi della realtà. Il tempo necessario è lungo e oggi il tempo costa.
Qual è il fattore dominante che sta dando nuovamente linfa al documentario?
L’aver scoperto che le televisioni fuori dall’Italia non sono dei castelli impenetrabili, ci sono dei responsabili che hanno una grande passione per il loro lavoro e hanno una buona apertura mentale, che all’estero insomma, il mestiere di fare documentari è organizzato in una struttura che lo rende concreto e questo spinge gli autori a tirare fuori le idee dal cassetto e cominciare a lavorarci sopra.
Cosa le è piaciuto dei progetti presentati dagli italiani?
Mi hanno colpito tutti, uno ci parla del fratello ammazzato di un brigatista rosso pentito, un episodio così forte della storia italiana che pure non è mai stato raccontato prima, poi ce n’è uno sul cinema afgano prima della guerra, portato avanti da Daniele Gaglianone che è un ottimo regista anche di fiction, poi il progetto dei Fluidi Video Crew sulla Sacra Corona Unita, sostenuto anche dal Comune di Bardonecchia, sui problemi della lotta alla mafia e che racconta un episodio della nostra recente storia di cui io avevo solo sentito parlare in televisione. Il problema è che in televisione si sente parlare di tutto, ma non si riesce a comprendere nulla fino in fondo, il documentario al contrario riesce a far comprendere, almeno a chi avrà la fortuna di andarlo a vedere, perché c’è sempre il problema della diffusione. Poi esiste il progetto su di una radio afgana, che ha avuto due anni di sviluppo, qui lo hanno accettato tutte le televisioni presenti e questo vuol dire che lo vedranno più persone di quante non vedrebbero un film di successo in Italia. Questo dimostra ai documentaristi che bisogna insistere....

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