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Irish Film Festa - Roma si tinge di verde

Pubblicato il 16 novembre 2007 da Andrea Di Lorenzo


Irish Film Festa - Roma si tinge di verde

Si è conclusa domenica, 11 novembre, la prima rassegna nazionale di cinema Irlandese in Italia, tenutasi a Roma presso l’ex Casina delle Rose, oggi Casa del Cinema: organizzata in simbiosi da Roma Film Festival e Alphapictures, in collaborazione con l’Irish Film Institute e con il patrocinio dell’Ambasciata d’Irlanda, questa Irish Film Festa si presenta a Roma con il primato di essere la prima rassegna cinematografica, riservata alla verde Irlanda, sul suolo italiano. Dieci i film presentati, tutti inediti e per la maggior parte prodotti nell’ultimo decennio selezionati da Susanna Pellis, direttrice artistica della rassegna e autrice del libro Breve storia del cinema Irlandese, un piccolo vademecum adatto a chiunque volesse saperne di più su tale argomento, sconosciuto come del resto lo sono molte altre cinematografie minori.
Eppure, a guardarla bene, la cinematografia irlandese non è poi così minore come si può pensare: seppur la produzione filmica di questo paese non abbia quasi mai varcato i confini nazionali, arrivando sporadicamente nel continente o, nella fattispecie, in Italia (nella maggior parte dei casi ci si limita ad una distribuzione sul mercato del Regno Unito), non si può dimenticare che, dalla fine degli anni ’80 in poi, questa cinematografia ha attraversato un periodo di grande crescita, grazie soprattutto a nomi quali Jim Sheridan e Neil Jordan, capaci di conseguire importanti onoreficenze per i loro film (vedasi Il mio piede sinistro e La moglie del soldato, entrambi vincitori agli Academy Awards). Ovviamente questi due grandi cineasti non spuntano fuori da sotto un cavolo, all’improvviso, in realtà essi sono figli di una (per così dire) "Nouvelle Vague" irlandese: cineasti indipendenti quali Bob Quinn, Cathal Black, Joe Comerford, Thaddeus O’Sullivan ed altri ancora, agli inizi degli anni ’80, portarono sugli schermi film sempre più duri, impegnandosi a mostrare la realtà sociale irlandese, anche in maniera anticonvenzionale rispetto alle produzioni precedenti. Così facendo, essi aprirono la strada al nuovo cinema irlandese, la cui consacrazione effettiva in patria avvenne nel 1993 allorquando, in concomitanza con la grande crescita economica della Celtic Tiger, nacque l’Irish Film Board (Bord Scannan na hEireann), ovvero il primo ente per la cinematografia irlandese che, in concomitanza con la creazione di numerose scuole di cinema, fecero letteralmente esplodere il mercato cinematografico dell’Eire: giovani filmmakers, grandi produzioni estere, nomi noti, il suolo cinematografico irlandese non era mai stato così affollato.

L’ottimo lavoro della Pellis e della Alphapictures (una casa di produzione che per la prima volta si è cimentata nell’organizzazione di un festival, con ottimi risultati) ha permesso di presentare al pubblico italiano una scelta di dieci film, eterogenei sia in quanto a tematiche che ad anno di produzione (come detto prima però, tutti richiusi in questo ultimo decennio di grande crescita, eccetto uno del 1989): le proposte vanno dalla commedia calcistica alla docu-fiction, dal film in costume al dramma contemporaneo, il tutto ovviamente in salsa irish. Andando più nello specifico, i film presentati sono stati i seguenti (in ordine di proiezione): December Bride (Thaddeus O’Sullivan, 1989), Omagh (Pete Travis, 2004), Disco Pigs (Kirsten Sheridan, 2001), Mickybo & Me (Terry Loane, 2005), Adam & Paul (Lenny Abrahamson, 2004), The Butcher Boy (Neil Jordan, 1997), The Tiger’s Tail (John Boorman, 2006), The Hooneymooners (Karl Golden, 2004), Studs (Paul Mercier, 2006) e Pavee Lackeen - The traveller girl (Perry Ogden, 2005). Senza togliere nulla alla qualità di ciascuno dei film indicati, anzi, dovremmo dire che per qualità ed interesse si sono rivelati (ovviamente con livelli diversi di intensità) tutti delle ottime scelte e delle grandi sorprese, ci sentiamo in dovere di porre l’accento su due titoli che più ci hanno sopreso: curiosamente (perchè i film sono stati proiettati lo stesso giorno ed entrambi hanno al loro centro una coppia di amici) stiamo parlando di Mickybo & Me e Adam & Paul. Andiamo con ordine.
Mickybo & Me di Terry Loane è un film interessante sotto molti punti di vista, il primo dei quali è il suo essere nordirlandese: la produzione è nordirlandese, così come lo è Terry Loane, alla sua prima prova da regista. La peculiarità di questa appartenenza geografica va letta sotto due aspetti estremamente diversi, quasi antipodici, uno di carattere sociale e l’altro di carattere produttivo. Prima di questo film, i temi caldi dell’Irlanda del Nord erano sempre stati trattati da registi esterni alla realtà in cui avvenivano: non esistendo una industria cinematografica propria, queste tematiche venivano generalmente affrontate da produzioni e registi provenienti dalla Repubblica d’Irlanda o da oltreoceano. Questa estraneità ai fatti provocava un certo malcontento tanto nelle popolazioni locali quanto nelle istituzioni, secondo le quali, le opere realizzate da registi non nordirlandesi erano spesso ricolme di inesattezze, dimentiche, inoltre, spesso della realtà sociale ove avevano luogo i fatti. Il risultato che può raggiungere un regista locale diventa, senz’altro, più accurato nei luoghi e nei fatti, rendendo differente (rispetto ad altri film esterni all’Irlanda del Nord) l’impatto di questo Mickybo & Me: la sensibilità con cui il tema è trattato (la vita, le lotte e i problemi dell’Irlanda del Nord negli anni ’70 vista attraverso gli occhi di due bambini, uno protestante e l’altro cattolico), la cura con cui la realtà di quegli anni viene ricreata, sia a livello scenografico che di personaggi, senza dimenticare poi la bravura degli interpreti e del regista, rendono questo film un piccolo autentico capolavoro, un viaggio sospeso tra Butch Cassidy and the Sundance Kid, I 400 colpi ed il cielo irlandese, da recuperare assolutamente. La seconda coppia in questione, ossia Adam & Paul, ha veramente poco a che fare con i due bambini di prima: i due protagonisti sono infatti due eroinomani dublinesi, seguiti per 24 ore nel loro peregrinare in cerca di una dose in città. Punto di forza del film sono i due attori che interpretano Adam e Paul, Mark O’Halloran e Tom Jordan Murphy (uno dei migliori attori della sua generazione, tragicamente scomparso a soli 39 anni), il primo dei quali è anche sceneggiatore della storia: dai suoi Junkies Diaries, quaderni di vita in cui O’Halloran era solito riportare tutti gli avvenimenti più assurdi dei junkies (drogati) di cui era spettatore a Dublino, e dall’incontro con il regista Lenny Abrahamson nasce questo piccolo gioiello, realizzato con un budget minimo e una piccola crew, in meno di un mese di tempo. Il film gioca con rimandi all’antinarrativismo, al Beckett di Aspettando Godot, all’umorismo pirandelliano, mescolando al suo interno toni farseschi, comici, poetici, anti-sentimentali, drammatici e via dicendo: il risultato è un insieme di scene che, slegate tra di loro, potrebbero benissimo essere montate in qualsiasi combinazione, senza alterare lo spirito del progetto, ovvero l’idea di passare del tempo con i personaggi, per conoscerli dimenticando a volte la narratività in favore di due attori la cui bravura lascia a bocca aperta.
Se questi due film ci hanno colpito di più per la loro bellezza, ciò non significa che gli altri non fossero valevoli di lode e, a tal proposito, possiamo indicare almeno altri due titoli valevoli di menzione: il primo è sicuramente December Bride, un film in costume d’inizio ’900 fortemente legato alle terre d’Irlanda ed alla loro storia; secondo titolo è invece Studs, una divertente ed intelligente commedia calcistica a metà tra un film biblico e uno sulla working class inglese, firmata da uno dei migliori scrittori teatrali irlandesi, Paul Mercier.

Nel complesso, questa prima Irish Film Festa si è rivelata una scommessa vinta: senza una minima esperienza alle spalle, puntando su una cinematografia quasi totalmente sconosciuta nel nostro paese e potendo contare sull’appoggio del Roma Film Festa e della Casa del cinema, la Alphapictures e Susanna Pellis hanno curato ed organizzato una preziosa rassegna che, speriamo, verrà replicata anche negli anni a venire. Speranza probabilmente propria anche del folto pubblico che, per la maggior parte delle proiezioni, ha fatto registrare il tutto esaurito nella Sala Kodak della Casa del Cinema, segno di un interesse e di una curiosità cinematografica che evade dai semplici confini nazionali, sempre bisognosa di nuovi stimoli.


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