ITALIA-BRASILE 3 A 2

Si dirige sulla sua sediolina verso la destra del palco spoglio il palermitano Davide Enia, seguito dai due musicisti - nella cornice dell’Arco Trionfale, eretto nel 1777 in onore di Papa Clemente XIV, simbolo di questa treentatreesima edizione del Festival Santarcangelo dei Teatri (qui alla sua quarta giornata) di fronte ad una Piazza Ganganelli affollatissima - e coinvolge/travolge in novanta minuti di “corpo a corpo” con un’oralità dallo stile spiccatamente peculiare, che trova le proprie radici nel cunto e nell’epica. Affondando in esse con calibrata veemenza, ci racconta l’ultima partita del secondo turno dei Mondiali di calcio, giocata il 5 luglio 1982 allo stadio Sarrià di Barcellona: Italia, Davide, contro Brasile, Golia, cronaca di una morte annunciata, sembra. In una partitura orale che utilizza brani di cunto, sia alternandoli, sia parcellizzandoli come esche vive che uncinano il tessuto affettivo dello spettatore, reso, con reale climax ascendente, undicesimo “giocatore in campo”, o quarto componente in scena, Enia conduce universalmente (non occorre infatti possedere pathos calcistico) a (ri-)vivere “in diretta”, con l’illusione/finzione del minuto per minuto, la sfida, traslata sul piano mitico, tra chi sembra predestinato a soccombere a confronto con un pluridecorato “monstrum” del gioco del calcio, mediante i simboli-archetipi incarnati dai membri (i tipi) di una famiglia palermitana, che scandiscono il Rito.
Ognuno di loro ripete la medesima posizione e soprattutto azione che stava compiendo in una congiuntura felice, durante un’altra partita (“quella in cui Bruno Conti aveva segnato per la prima volta ai mondiali”): quindi, lo zio Peppe indossa gli stessi panni che non lava da quel giorno altrimenti la fortuna resta tutta in lavatrice, Bruno Curcurù “svampa” Nazionali senza filtro ancorato allo stipite della porta e in generale lo schieramento “al di qua” dello schermo del “Sony Black Trinitron” è raccontato a specchio dei giocatori in campo (di cui alcuni sono personaggi-mito, come Orlando e Rinaldo: il “magrissimo” Paolo Rossi, incubo degli avversari che si chiedono ogni volta “ma questo, da dove minchia è comparso?!”, “il bellissimo Antonio Cabrini” che per salvare la partita compromette la sua immagine), laddove l’irrealtà del video si annulla tout court, rivelandosi ponte e volano per l’epica della sfida fra uomini che manifestano la qualità del proprio valore nel fare il loro compito - qui è giocare per vincere - (che si tinge di eroismo nell’inserto narrativo di Garrincha o della Dinamo Kiev, squadra trucidata dai nazisti perché aveva giocato e vinto contro la Germania). Mediante un efficace gioco sulle tecniche e vocalità della tradizione orale - con l’iterazione di blocchi narrativi significanti, l’allitterazione, la simmetria ortografica di frasi/ritornelli della texture globale, pullulante di previste improvvisazioni timbriche: interventi di sonorità a percussione e/o acustiche, sia di commento, sia di rigogliosa jam session autonoma e di impervi tratti in cui Enia (che ha anche sfiorato la carriera di calciatore professionista) si tuffa a capofitto nel cunto grazie al quale, sia rende epici i suoi protagonisti, sia traduce l’atletismo affettivo dell’attore cantastorie di piazza in un tracciato sistolico dello spettatore - la platea, al termine dell’ “intrapresa”, è unanimemente invasa dall’enthousiasmo, che culmina in autentica Festa popolare.
[luglio 2003]
Uno spettacolo di Davide Enia (regia, testo, interprete) musiche in scena: Settimo e Riccardo Serradifalco
