Venezia 74 - Jusqu’à la garde

A riprova dell’eccellente stato di salute del cinema francofono (qui a Venezia si sono visti, in ciascuna delle rassegne, dei titoli ottimi, geniali, o comunque di buona tenuta), arriva a conclusione di un concorso ufficiale decisamente al di sotto di molte edizioni precedenti della Mostra, Jusqu’à la garde di Xavier Legrand, già candidato all’Oscar per il miglior cortometraggio nel 2013 per Avant que tout perdre. Opera prima con una regia di qualità stupefacente, che una giuria assennata non dovrebbe lasciare a mani vuote, Custody (questo il titolo internazionale) racconta dello scontro non soltanto legale tra un padre e una madre che in seguito alla loro separazione litigano sull’affidamento del piccolo Julien, un ragazzino di nemmeno 10 anni, intenzionato a non voler più avere niente a che fare con una figura paterna così collerica, manesca, e psichicamente instabile.
La regia, si diceva, è sorprendente, ed è manifesto di un’idea di cinema concreta, plastica, che usa le inquadrature, i volumi e gli spazi in esse contenuti, per definire visualmente le relazioni dei personaggi che vi compaiono. Fin dalle prime battute in tribunale, i tagli e la messa a fuoco descrivono fisicamente il baratro che tra le parti in causa viene a crearsi nella valle di lacrime di questi inferni senza fuoco che sono le famiglie dissolte. Ma quello che per quasi tutta la sua durata sembrerebbe ‘soltanto’ un dramma psicologico teso e nervoso, magistralmente condotto da qualcuno capace di usare la macchina da presa come una sciabola che con precisione chirurgica fende l’aria irrespirabile e claustrofobica all’interno della gabbia di emozioni sempre più stretta addosso a Julien e a sua madre, diventa via via teatro di inevitabili degenerazioni horror, quell’horror che declinato con asciuttezza implacabile Legrand imbastisce nel grandioso finale di un dramma psicologico gestito con efficacia hitchcockiana, addirittura nell’esplicito ricordo dello Shining di Kubrick. Un cinema, insomma, fatto, sì, di cinema, ma anche di tachicardica inquietudine, brividi di tensione e lacrime, che suggella il racconto, senza escludere un tocco di umana passione politica, con una porta che si chiude, agita da un ‘deus ex machina’ cui è stata appioppata addosso la targhetta di ‘extracomunitario’ per via della sua provenienza, comprensiva del rischio di vedersele chiudere in faccia, quelle porte che dovrebbero restare aperte per accogliere, amare, comprendere, ma che invece intralciano i destini del mondo e la sua ricerca della felicità.
(Jusqu’à la garde); Regia: Xavier Legrand; sceneggiatura: Xavier Legrand; montaggio: Yorgos Lamprinos; interpreti: Léa Drucker, Denis Menochet, Thomas Gioria; produzione: Alexandre Gavras; origine: Francia, 2017; durata: 90’
