KAASH

La nazionale anglo-indiana schierata al gran completo: sul fondale nero-su-grigio concepito da Anish Kapoor (che quando si colora di rosso diventa una specie di Rokhto spiritualeggiante); sulle cellule percussive reiterate di Nitin Sawhney, sui suoi vorticosi “bôls” (ovverosia quella sorta di scat orientali resi celebri da Sheila Chandra), i cinque ballerini guidati da Akram Khan innescano una sequenza ininterrotta in cui ogni posizione scenica e ogni geometria di movimento si inseriscono nella stessa catena elicoidale (sempre a rischio di rottura), dove gli assoli, i duetti, i trii non si staccano dal gruppo come particelle spettacolari a se stanti, ma si innestano come segmenti dello stesso ciclo perpetuo. La Terra è l’ipotesi di lavoro di Kaash: le figurazioni si moltiplicano, l’energia si trasmette da un terminale corporeo all’altro modificandosi, ramificandosi fin nelle stasi, nel silenzio, nel buio. C’è anche la solitudine, il cercare aiuto quando si rimane esposti senza coperture allo sguardo del mondo. Ma poi la corrente elettrica tra i corpi riprende a fluire e a costruire percorsi di ferrea consequenzialità, come un compasso multiplo si misurano le distanze dello spazio, mentre la luce cade e si rialza, in eterno. Prima o poi tutto tornerà, uguale e diverso, perché in definitiva il prima e il poi sono parole prive di senso, articolazioni logiche superate per un continuum che ci comprende e supera, incessantemente. Un’ora secca, di palpabile intensità, che si arresta all’alba di una nuova attesa: una striscia di luce e il rituale sospeso di un altro inizio.
[ottobre 2002]
Cast & credits:
Romaeuropa Festival 2002 Teatro Valle, Roma 18-19 ottobre
Coreografia: Akram Khan; musica originale: Nitin Sawhney; musica aggiunta: Spectre di John Oswald, interpretata dal Kronos Quartet; scenografia: Anish Kapoor; luci: Aideen Malone; costumi: Saeunn Huld; danzatori: Akram Khan, Rachel Krische, Moya Michael, In Pang Ooi, Shanell Winlock.
