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L’intervista

Pubblicato il 4 marzo 2009 da Laura Khasiev


L'intervista

Una scenografia che rappresenta un interno di casa (disegnata da Antonio Panzuto) si presenta, ad inizio spettacolo, ad uno spettatore che, per questo, comincia ad aspettarsi uno spettacolo formalmente tradizionale. Ma ci vuole poco perchè proprio la costruzione scenica di Valerio Binasco smentisca questa premonizione iniziale.
Il regista porta in scena L’ intervista, una vecchia commedia di Natalia Ginzburg (dal 10 febbraio al 1 marzo, al Teatro Eliseo). Come sempre avviene nei suoi spettacoli, ad informarci del tempo in cui siamo proiettati, c’è un muro su cui viene proiettata la data del 1977.
Maria Paiato inaugura la scena con la sua potente presenza. Suggestivo è infatti l’incontro della luce col volto dimesso di colei che si ritrova alle prese con amori impossibili e tanti doveri da sbrigare. Quella che doveva essere l’intervista del giornalista Marco Rozzi al famoso studioso Gianni Tiraboschi, si trasforma in un circuito di incontri, dialoghi e ritorni, tra persone che sono intorno alla vita di Gianni, ma non entrano in contatto diretto con lui. Lui non c’è, eppure la sua presenza si sente forte in scena, grazie anche alle parole scelte dalla scrittrice, che sono come contenitori da cui il regista ha saputo trarre una luce suggestiva di significati, che hanno permesso allo spettatore di riflettere sulla vita.
Quando si tratta di sentimenti, emozioni, passioni e incontri, allora si è di fronte a questioni che inevitabilmente ci riguardano da vicino, in un modo o nell’altro. La capacità del regista di valorizzare un testo di per sé così bello, ma che aveva bisogno comunque di un supporto scenico adatto a sostenere i concetti intrinseci di cui è carico si evince proprio dal suo contraddire le aspettative del pubblico.
Il giornalista Rozzi ha fatto un lungo viaggio per andare fuori Roma, in casa del tanto stimato studioso, che però è stato chiamato improvvisamente ad un convegno. Così la compagna di Tiraboschi, Ilaria, lo invita a sedersi, e i due intrattengono una conversazione, raccontandosi le proprio vite, colme di doveri da rispettare, impegni e aspettative che non si sa se saranno appagate. Dalle loro parole emerge una forte insoddisfazione e un senso di vuoto che, bisogna ammettere, i due attori hanno trasmesso al pubblico, facendolo sentire costantemente a disagio e pressato da un’atmosfera claustrofobica.
Il dialogo tra i due viene, comunque, spezzato dall’arrivo della giovane nipote di Gianni, ragazzina ribelle con le trecce nere e l’aria da bohèmienne svogliata. Azzurra Antonacci ha rivestito i panni di questa giovane ragazza, che sin da subito scatena l’interesse del giornalista militante. Lei sempre sfuggente e infastidita dalle richieste di una “zia” pedante, che l’ha invitata più volte a rispettare i doveri della casa.
Tra un dialogo e l’altro, “schizzi” di comicità hanno regalato al testo sfumature interessanti.
Lo stesso Binasco ha dichiarato la sua stanchezza nei confronti di un teatro “fallico”, maschile, che tende a puntare il dito contro la società ed a ribadire il datato concetto anti-borghese dell’essere in una certa condizione perché non si fa nulla per cambiarla.
Il regista, da un po’ di tempo a questa parte, infatti, sceglie testi che accolgono il pubblico, che sono come dei “ventri materni”, capaci di scaldare i pensieri e cullarli nella riflessione e nella presa di coscienza. Binasco non rifugge dalle ansie post-moderne, tanto meno dalle paure per un futuro che è sempre più incerto. Tramite i suoi lavori ci fa capire che invece quei timori, quelle angosce e quei disfacimenti che oggi ci riguardano da vicino, sono un vero punto di forza per l’individuo, che può trovare risorse proprio dai suoi conflitti interiori. Dunque si è di fronte a spettacoli su cui è stato compiuto un lavoro intellettuale di alto livello, capaci non solo di creare stimolo con il testo, ma anche con la resa scenica e l’interpretazione così fuori dal comune, che ha trascinato lo spettatore nella vicenda a tal punto da farlo sentire coinvolto nella storia.
Il finale non poteva essere altrimenti: dieci anni dopo (come si informa la proiezione dell’anno sul muro) il giornalista, che è ormai diventato un regista televisivo benestante, va a trovare Ilaria nella stessa casa dove anni prima era stato per un’intervista mai avvenuta. I due dialogano un po’ sulle loro attuali situazioni e Marco viene a sapere che il suo adorato Tiraboschi, dopo una vita di grandi slanci e successi nel lavoro e con le donne, si ritrova in un letto, “affogato” dalle acque della depressione, tornato definitivamente con la compagnia che aveva voluto abbandonare anni prima per una donna avida e senza scrupoli. Ed è proprio in questo momento che l’uomo si prepara per fare l’”intervista”, ora che Gianni non ha più l’interesse a farla., “perché le cose arrivano quando non le vuoi più”…
Una definizione forte che chiude lo spettacolo, avvolgendo dentro sé e il suo significato più profondo anche le luci della scena, le scale, la poltrona, le sedie e portandosi via i personaggi, come fossero fantasmi che fino ad allora ci hanno dato l’illusione di essere persone reali. Come può allora lo spettatore uscire tranquillo da una visione del genere? Pervaso di angoscia, anche nel momento in cui mette piede fuori dal teatro. Forse soltanto nel giorno seguente si riesce ad accogliere ciò che ci è stato comunicato e a far fronte ai propri disagi, cercando da essi di trarre la forza di cui ci parla Binasco…


(L’intervista); Regia: Valerio Binasco; Interpreti: Maria Paiato, Valerio Binasco e Azzurra Antonacci; Scene: Antonio Panzuto; Costumi: Sandra Cardini; Luci: Pasquale Mari; Regista collaboratore: Nicoletta Robello


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