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La Milanesiana 2011

Pubblicato il 3 luglio 2011 da Sofia Bonicalzi


La Milanesiana 2011

LA MILANESIANA, festival di letteratura, musica, cinema, scienza, arte, filosofia e videogiochi.

QUINTA SERATA (30 giugno 2011) - NOI CREDEVAMO «Tutte le rivoluzioni sono tradite, tutte le generazioni sono perdute», scriveva Lucia Longhi Lopresti, alias Anna Banti, in Noi credevamo, ritratto della disillusione morale dell’autrice di fronte ad un’Italia incapace di liberarsi del suo eterno fascismo, calata sotto le spoglie della memoria letteraria del nonno Domenico, mazziniano della prima ora che, ormai anziano, si trova a rievocare gli anni perduti del Risorgimento, dai primi moti al fallimento del sogno democratico, dalla prigionia a Montefusco alla disfatta dell’Aspromonte. E questo è lo spirito che si respira nel film di Mario Martone, adattamento felicemente infedele del romanzo (e opera «non storica, ma politica», come precisa il regista), presentato lo scorso anno alla mostra del cinema di Venezia e ora protagonista della quinta giornata della Milanesiana, festival di letteratura, musica, cinema, scienza, arte, filosofia e videogiochi, ideato e diretto da Elisabetta Sgarbi e giunto ormai alla tredicesima edizione (tema di quest’anno “Bugie e verità”). Nell’ormai consueta cornice della Sala Buzzati, va in scena la nascita di una nazione, fra utopia e disincanto, furore e malinconia, sul doppio binario della rievocazione storica, nella sovrapposizione ideale di Risorgimento e Resistenza, e della sua rivisitazione attraverso il cinema e il teatro (di «unità cinematografica d’Italia» parla Maurizio Porro, riferendosi a quell’uniformità culturale che solo queste arti, fra nobili gattopardi ed effervescenti commedie musicali, sono state in grado di produrre). Ad introdurre la serata è Ranieri Polese, che ricorda come il Risorgimento sia stato “il periodo della storia recente al tempo stesso più misconosciuto e più sfruttato come chiave di lettura per comprendere gli errori del nostro presente (la Resistenza, per usare le parole di Giaime Pintor, altro non era che la “possibilità di realizzare quelle possibilità che il Risorgimento non aveva realizzato”). A rompere il silenzio che negli ultimi 25 anni anni ha regnato sugli anni dell’unità, sono stati i romanzi di Antonio Scurati (Una storia romantica, Bompiani) e di Fausta Garavini (In nome dell’imperatore, Cierre), cui si sono aggiunti Luigi Guarnieri con I sentieri del cielo (Rizzoli), Giancarlo de Cataldo con I traditori (Einaudi), composto in parallelo con la sceneggiatura di Noi credevamo (Bompiani) e l’esordiente Alessandro Mari, con Troppa umana speranza (Feltrinelli)».
E sono proprio Antonio Scurati e Fausta Garavini a salire sul palco per un prologo letterario d’atmosfera: se il primo sceglie l’immagine del mondo sotto assedio che emerge dalla sua rappresentazione letteraria delle cinque giornate di Milano, la seconda rievoca il percorso personale ed artistico che, nel corso di molti anni, condusse Anna Banti a scrivere il suo romanzo più celebre, in cui trasfuse l’indignazione per il trattamento riservato alle classi povere e per i retroscena di una politica che aveva ben presto accantonato gli ideali democratici.
Dopo le recensioni e le glosse al film di Enrico Ghezzi (che, non potendo essere presente in sala, ha inviato un lungo messaggio, poi letto e interpretato da Anna Bonaiuto) e di Maurizio Porro, è toccato a Mario Martone salire sul palco, dove, con la collaborazione di Giuseppe Battiston, Roberto Herlitzka, Roberto Accornero e Anna Bonaiuto, ha dato vita e colore ad alcune scene mai girate di Noi credevamo, attraverso una suggestiva regia live. Fra le feste di Napoleone III e le aule del parlamento, Mazzini, Crispi, Garibaldi e Cavour si sono dati il cambio su una scena essenziale, in un’atmosfera di sospensione magica fra cinema e teatro. Dopo i lunghi applausi, a concludere la serata, è stato il pianista Antonio Ballista, con un mosaico di brani musicali di Rameau, Hayden, Rossini e Satie, che hanno accompagnato la lettura alcuni brani (interpretati da Pujadevi), tratti dal monumentale capolavoro di Giuseppe Rovani, I cento anni.


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