LA NUOVA SOPHISTICATED COMEDY: SEX AND THE CITY

C’era una volta la commedia romantica. Uno dei generi più longevi di sempre, fonte inesauribile di schermaglie amorose, schemi noti e risaputi ma sempre efficaci, purché ad opera di solidi artigiani, anche se con gli anni abbiamo imparato a chiamarli autori.
Defilata all’interno del panorama maschile dei generi, dove il gangster movie e il western la facevano da padroni, la commedia trova finalmente un suo pubblico nel periodo rooseveltiano, allietando la nazione durante la difficile ripresa economica, grazie soprattutto all’ottima fattura, alla cura minuziosa del “prodotto”.
Già, perché mentre gli altri generi ben si prestano a sperimentazioni linguistiche, la commedia con le sue ambientazioni in interni e i fitti dialoghi, non offre un divertimento spettacolare ma vi ovvia con un robusto lavoro di sceneggiatura e recitazione, tenuto insieme da quei maestri che con senso del ritmo e finezza psicologica ne hanno fatto un modello imprescindibile per il cinema a venire: sono gli anni dei Lubitsch, dei Cukor, dei Capra; film come Scandalo a Filadelfia o Ninotchka e Accadde una notte mettono in scena traversie sentimentali in ambienti ovattati, perbene, così tranquillizzanti da non poter dubitare nemmeno per un secondo della riappacificazione finale, così presenti e vitali per la riuscita dell’operazione da divenire tratto caratteristico e di definizione del genere stesso.
Nasce così la sophisticated comedy, brillantemente “riciclata” negli anni cinquanta e sessanta da questi stessi autori o dai loro sceneggiatori passati alla regia - come Billy Wilder, che ha segnato il decennio insieme all’eclettico Hawks e ai duetti di Doris Day e Rock Hudson - per poi trovare gli ultimi guizzi negli anni ottanta con la celebrazione dell’ultima vera fidanzatina d’America: Meg Ryan. Il film è naturalmente Harry ti presento Sally e da allora la commedia sofisticata al cinema sembra aver esaurito la sua funzione critica, di irriverente provocazione nei confronti di usi e costumi, di ambienti e categorie.
Se al cinema è scomparsa o in attesa di rianimazione la sophisticated comedy riappare in tutta la sua impertinente luminosità in televisione: nel 1998 il network HBO propone la serie Sex and the City ed è subito una boccata d’aria fresca, insieme però al piacere di veder rivivere la sfrontatezza della miglior commedia hollywoodiana.
Le quattro single di Manhattan, donne in carriera perennemente in cerca dell’uomo giusto, sono dirette discendenti delle eroine incarnate da Barbara Stanwyck e Katherine Hepburn; donne ciniche, emancipate e indiscutibilmente “fashion”.
New York, sfondo di tante commedie indimenticabili, è in gran spolvero: tralasciando ogni aspetto negativo, come per un innamorato di cui si mettono a tacere i difetti, le protagoniste intrattengono con la città il loro rapporto più importante, la loro relazione più stabile.
Se la commedia sofisticata aveva abituato ad ambientazioni sfarzose, l’erede televisivo non è da meno: la città è un microcosmo di locali di tendenza,ristoranti alla moda e negozi di Park Avenue dove comprare le lussuose scarpe di Manolo Blahnik, vero feticcio delle protagoniste.
Al suo debutto però, il legame di Sex and the City con la commedia rosa non è immediato: il serial vuole porsi come una docu fiction sulle abitudini sessuali della New York modaiola e benestante; l’episodio pilota assembla finte interviste ai single più appetibili della città da cui la protagonista, coscienza e anima della serie, Carrie Bradshaw - una Sarah Jessica Parker, elevata al ruolo di diva solo dopo l’esperienza tv - trae spunti per la sua rubrica quotidiana su un giornale.
Gli altri personaggi, l’avvocato Miranda, la p.r. Samantha e la gallerista Charlotte, appaiono talmente stereotipati da rappresentare delle categorie femminili da sondaggio: la cinica, la disinibita, la romantica.
Il serial è efficace anche così, i suoi dialoghi schietti e disillusi rendono conto di una femminilità “imbastardita” dal successo e dal potere economico con cui era tempo di confrontarsi.
Anche la stessa struttura del telefilm ne prende atto: in sei stagioni le quattro protagoniste sono il fulcro di tutte le vicende, mentre gli uomini solo i seducenti avventori di una sera: dopo qualche puntata, si passa a un’altra story line, a un altro guest star con la stessa disinvoltura con cui le quattro amiche cambiano locale.
E’ con il passare delle stagioni che Sex and the City assume connotazioni più romantiche: il legame delle ragazze diviene più esplicito, persino sentimentale, e si fa strada una certa malinconia, tra i pranzi e le serate di gala comunque scanditi da dialoghi brillanti, che eleva la statura del serial da semplice registrazione di una realtà ristretta a erede diretto della miglior commedia romantica.
Se si dovesse scegliere un titolo che sembra aver ispirato direttamente Sex and the City potrebbe essere Come sposare un milionario, con una scala di valori inversa: se le modelle protagoniste del film di Negulesco consideravano il matrimonio una via per il successo, le donne di Sex and the City hanno già una propria stabilità economica.
Ma fatta eccezione per questo segno dei tempi, le meccaniche dei personaggi rimangono le stesse: donne sole ma solidali in cerca di un happy end.
