La pace

Roma, Teatro Vascello- Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa mettono in scena un testo. E questa è già una strana novità. Ci sono stati Joyce, Beckett, Seneca ed Eschilo: pretesti per il gioco scenico della Marcido. Con La Pace le cose mutano di segno, senza mutar di valore. La storica compagnia torinese ci propone un testo, ma non lo interpreta, lo crea: il testo, la tessitura, è assicurata dall’intreccio di due fili pregiati, la drammaturgia tagliente di Tarantino e la scrittura scenica sempre viva della Marcido. Voilà, il testo, non ciò che comunemente associamo alla parola scritta, ma testo come texture, creazione dai molteplici fili e dalle diverse materie, oggetti, colori, cose. Marco Isidori tesse i suoi fili e quelli di Tarantino...et voilà la ragnatela dei Marcido.
Le ragnatele della parola: La lotta tra bene e male non si placa nella pace, non si esaurisce, non trova tregua. Pace, non esiste, non può essere, se non nel sogno utopico dell’uomo. A questo sembra alludere l’ironico testo di Tarantino, che con il suo sguardo provocatorio indaga la realtà, contraddicendo continuamente lo status quo che ha creato, contraddicento i positivi esiti della peripezia sul finire, con un colpo di risata diabolico. La strega, la puttana e la madre (tre donne, esseri superiori nel corpo in vita di Maria Luisa Abate), guardano dall’alto con il loro sguardo supremo, sbeffeggiante, accusatorio il destino di due personaggi non comuni, ma banali rappresentazioni dell’umano, Sharon(Paolo Oricco) e Arafat (Marco Isidori), goffe figure maledette a raggiungere la pace. Interdetti dall’acqua e dal fuoco, vagano, ignorati e ignari da/di ogni umanità, per un deserto popolato di dubbi, in attesa di un miracolo dal cielo. Saranno costretti a concluderla, una sorta di Pace, ma non sarà una condizione pacifica il risultato del loro accordo per la Pace.
Le ragnatele del suono. Marcido’s way: E la parola diviene suono, aldilà del senso; prima della logica, prima della comprensione del significato, il significante, suono, vocale, consonante, si rivela, e ci sconvolge, nella, e con la, sua interezza. Tutto in stile Marcido, vocalmente pregno, sul filo del grottesco, della farsa. Crea, il suono, l’atmosfera, aldilà del reale, nel mondo artefatto del teatro, in grado di caricare ogni parola, ogni realtà descritta, di ulteriori valenze, possibilità. Crea, il suono Marcido, momenti intensi in cui il fiato è sospeso (come quando dall’altro la madre parla e, nell’accusare, consiglia) ed ilari profusioni di esso, in sorrisi e risi, nelle deliziose presentazioni sonore tra un movimento e l’altro. Carico e caricato, spinge su pedali estremi, in bilico; è un ronzio che rimane in testa anche quando ormai tutto è silenzio, lo spettacolo è finito e le immagini lontante; è potente e influente, il suono Marcido.
Le ragnatele dello spazio: Grande, troneggia al centro della scena lei, la grande e metallica struttura, come ragnatela per catturare i due uomini di (ex)potere, ragnatela per i movimenti da ragno della Strega, che osserva e medita, doppio dello spettatore, le disavventure dei due capi di stato, caduti in sventura. Fatta di tubi e linee, dura, massiccia, la struttura troneggia sopra al palco nudo, o quasi: sotto, una sola piattaforma lignea, avanposto dei due "sventurati" sulla scena. Le leggi base del teatro vengono rispolverate, viene inverato il gioco elementare delle cose: così la piattaforma diviene autobus, cammello, stazione, ospizio dei poveri, oasi etc... e se la si muove e la si ruota si fa ora grotta ora pozzo. Tutto in un’unica tavola di legno. Medesimo significante diversi significati. Ma quel che colpisce è la semplicità che si impone alla vista, semplicità intesa, specifica Isidori, come tendenza all’astratto. Il testo, caricato dal suono, riempe la scena linearmente definita-ma sempre efficacemente- da Daniela Dal Cin.
E tutti fili, tutte le ragnatele, si uniscono e creano il testo. Ma non si può prescindere per questo, dalla vis scenica di questi tre attori abilissimi, Isidori Abate e Oricco. Sharon e Arafat, Oricco ed Isidori , entrano nelle loro maschere grottesche e le dominano rimanendovi sempre un po’ discosti, come se da lontano agendole le parodiassero.
Ed ecco la scrittura scenica, la totale osmosi di cose, azioni, parole, ed ecco, allora, La pace e il suo "testo", che è dialettica infinita delle opinioni, degli elementi.
La pace di Antonio Tarantino. Regia: Marco Isidori; Attori: Marco Isidori (Arafat), Paolo Oricco (Sharon), Maria Luisa Abate (Strega, Puttana, Madre); scena e costumi: Daniela Dal Cin.
