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La trilogia della città di K, il grande quaderno al teatro Eleonora Duse

Pubblicato il 6 marzo 2010 da Laura Khasiev


La trilogia della città di K, il grande quaderno al teatro Eleonora Duse

I colori dell’acquavite e della sabbia si intersecano all’interno di una stanza dove due giovani raccontano la loro storia di estenuante ricerca l’uno dell’altro...
Il grande quaderno è il titolo della terza parte del coinvolgente libro di Agota Kristof LA TRILOGIA DELLA CITTà DI K, a cui il drammaturgo e regista Vincenzo Manna si è liberamente ispirato per riscrivere un testo da adattare alla scena. Al teatrino Eleonora Duse, dal 21 al 28 febbraio, lo spettacolo ha preso vita con la regia di Daniele Muratore, diplomando dell’Accademia Nazionale D’Arte Drammatica Silvio D’Amico e con gli attori Cristina Gardumi, Davide Maria Giordano, Roberto Salemi e Lucas Waldem Zanforlini. Di questo romanzo il testo porta con se qualche detrito, affiancando però nuovi corsi d’acqua, modifica alcune delle note più sublimi della storia. L’atmosfera ricreata in scena travolge lo spettatore in un mondo lontano, quello della Grande Città senza nome, un non-luogo e un non-tempo, che sono le coordinate entro le quali prenderà vita una vicenda di guerra, dove ogni giorno si deve lottare per la propra vita... Il testo riscritto purtroppo ha perduto spessore rispetto alla narrazione originaria, come ripulita di quel velo di suggestione che rende il romanzo concepito dalla Kristof una vera e propria metafora di vita. Nella versione teatrale, ciò che era la fusione dei due gemelli in un cammino unico della prima parte del libro, si trasforma in una sola strada, quella di Lukas, vero protagonista che, immobilitato su un letto di ospedale, non può far altro che vivere con il solo pensiero, questo genera lo sdoppamento dal sè, un’altra coscienza, quella opposta che vive dentro ogni individuo. Così Lukas diventa anche Klaus, il contrario di stesso, forse quello che vorrebbe essere, ciò da cui si allontana, ma a cui non smette mai di volersi avvicinare. Questo sdoppiamento in scena non viene rappresentato da alcun segno, così ci si trova di fronte ai due ragazzi, che vengono portati dalla nonna, "la vecchia strega", della quale si dice abbia avvelenato il marito. I genitori di Klaus e Lukas si separano e non potendo più badare ai loro figli, li lasciano nella dalla nonna, che a suo modo baderà a loro, la quale è interpretata da Roberto Salemi, che ha consegnato al suo personaggio la giusta durezza ed aridità, di colei che ha vissuto ogni tipo di difficoltà e non ha più nulla da sperare. L’attore ha inoltre interpretato il ruolo del soldato, uomo d’esperienza, scappato da una guerra che non sentiva sua. Cristina Gradumi ha invece indossato i panni de l’infermiera, ricreata attraverso una parlata meccanica, lontana dal naturalismo quasi “robotica”, come fosse un elemento esterno al racconto e a quel luogo così fuori dal mondo. L’attrice ha anche dato vita al personaggio della madre che lascia i suoi figli alla loro nonna con grande rammarico, ma con la scelta di non conferire al personaggio troppa drammaticità, perchè in tempo di guerra il dolore diviene una costante a cui ci si abitua e molte azioni, seppur dolorose, si prendono per necessità. Infine la Gradumi ha interpretato magistralmente il personaggio forse più controverso della storia, Labbroleporino, ragazzina ai margini della realtà, con una malformazione alla bocca e un triste destino, ma anche con un barlume di speranza sedimentato nello sguardo, volenterosa di legare con gli unici ragazzi che le danno un po’ di attenzione, i due gemelli... Forse è soltanto Lukas ad affrontare il “cammino”, è Klaus ad accogliere affettuosamente la ragazzina, oppure è il pensiero di Lukas che immagina ciò? è egli a voler bene a Labbroleporino, anche se poi la insulta e la manda via? diversi sono gli incontri del giovane, ma alla fine non si sa se questo sia frutto della sua immaginazione oppure qualcosa di realmente vissuto. Lo spettacolo pone molte domande, è una sorta di rovesciamento della storia narrata da Agota Kristof, capace invece di costituire un appiglio per i lettori contemporanei, che spesso si ritrovano alle prese con le ansie tipiche del nostro tempo e vedono in questa storia il simbolo della propria ricerca e della propria “lotta alla sopravvivenza”. Ciò che manca è la poeticità delle conquiste quotidiane, qui accennate con qualche esercizio compiuto dai due ragazzi, che si schiaffeggiano per abituarsi al dolore e non mangiano per giorni per assuefarsi alla fame. I due qui sono mostrati come l’uno alter ego dell’altro, in questo e in altri elementi c’è l’anticipazione delle altre due parti della trilogia. Klaus-Lukas in continua contrapposizione, e quella complicità che era capace di emanare calore umano, pagina dopo pagina, è stata digerita dal concepimento del nuovo testo. Inoltre i due ragazzi nella versione scenica sono in conflitto con una nonna che disprezzano, che ripudiano e si perde quella solidarietà che invece, pur nata come un germe sotterraneo, era la linfa vitale della storia di questa disperzione, condivisa nella vecchia casa, dove dietro alle parolacce e agli insulti fra i due nipoti e la nonna, si era costruito un legame sempre più forte, inossidabile, che aveva fatto da “muro di cemento” contro una guerra che tardava a finire. Questo forse ha impoverito il racconto, che nella resa registica si è mostrato in linea con il testo riscritto, anche se nella creazione della scenografia Muratore è riuscito a recuperare quell’ambiente e quell’incanto, che ci viene suscitato dal libro. Per quanto riguarda il lavoro attoriale sembra abbia prevalso una riscrittuta scenica che pur tenendo conto del nuovo testo, fosse però legata alla fascinazione che si ritrova nel romanzo, infatti si è avverito tra i due, anche attraverso il non detto, quel legame di fratelli, che vivono la vita come se fossero un unica persona, anche il legame con la nonna sembra sentirsi stretto e costretto in un testo, che cancella la complicità dei tre membri della famiglia e dunque stenta a venir fuori. L’interpretazione di Davide Maria Giordano, nel ruolo di Lukas e di Lukas Waldem Zanforlini, nel ruolo di Klaus, ha provato a restituire l’atmosfera generata dalla Kristof e ha fatto percepire allo spettatore il senso di sopravvivenza, dominante della storia, che fa sentire complice chiunque si ritrovi ad incontrarla.


(LA TRILOGIA DELLA CITTà DI K, Il grande quaderno); Regia:Daniele Muratore; drammaturgia: Vincenzo Manna, liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Agota Kristof; disegno luci: Camilla Piccioni; scenografie: Bruno Buonincontri; costumi: Sara Costarelli; collaborazione all’allestimento: Lucia Radicchi; foto: Tommaso Le pera; interpreti: (Cristina Gardumi), (Davide Maria Giordano), ( Roberto Salemi), ( Lucas Waldem Zanforlini); teatro e date spettacolo: Teatro Eleonora Duse dal 21 al 28 febbraio; info: saggio di diploma in regia dell’allievo Daniele Muratore


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