LE NAVI DI J. J.. Ovvero un profilo nautico di Abrams
“Un giorno, in aeroporto, ho visto un tascabile lasciato su una panchina. Dopo averlo preso ho visto che all’interno qualcuno aveva scritto a penna «A chi trova questo libro: si prega di leggerlo e, dopo averlo letto, di lasciarlo dove qualcun altro lo possa trovare»”. Così racconta Abrams l’idea di S. La nave di Teseo (Rizzoli Lizard, pgg. 472, euro 35), e non credo sia un caso che il suo libro inizi in un aeroporto, laddove anche Lost inizia e finisce (Los Angeles LA X è il titolo di uno dei doppi episodi più rappresentativi della serie, i primi due della sesta stagione, ed il capitolo iniziale del fittizio libro di Straka è Ciò che inizia, ciò che finisce). Aerei e navi sono quasi sinonimi di viaggio, e quello intrapreso da Jack ed i suoi compagni non può non risultare complementare a quello che compiono Jen ed Erik ai margini del libro di Straka: l’uso della storia nella storia (la famosa meta narrazione) risulta quasi un trucco – la Nussbaum, sulle pagine del New York Magazine, nel 2008 aveva definito Lost un gioco con un nuovo livello di difficoltà, che fa uso dei trucchi dell’incastro e della cronologia. come fosse un illusionista, per arrivare ad un certo tipo di investimento emotivo finale. Un trucco, quindi, di cui si serve Abrams per far letteralmente navigare i suoi protagonisti verso la ricerca della propria identità: i naufraghi superstiti dell’isola devono tentare di ricostruire se stessi attraverso le storie di cui sono portatori (storie recuperate attraverso i flashback narrativi che hanno contribuito a portare la serie su nuovi livelli di complessità), mentre Jen ed Erik iniziano a capire chi sono e chi vogliono essere (insieme) grazie a dei flashback più ‘analogici’ di quelli di Lost, costituiti da lettere, note e cartoline inseriti materialmente nel libro. Ne S. La nave di Teseo, Abrams ci mette davanti addirittura ad una triplice ricerca: quella personale di Jen ed Erik; quella che li coinvolge, in quanto studiosi, sulla reale esistenza dello scrittore Straka; quella, infine, di S., che si ritrova solo, in mare aperto, su una nave che rallenta il tempo della sua vita.
Se il romanzo è un atto d’amore - per stessa ammissione di Abrams - nei confronti dell’oggetto-libro (in un momento in cui il digitale è sia il tempo e sia il modo delle nostre vite), lo stesso dicasi per Super8, film del 2008 di cui Abrams firma la regia. Si tratta di un altro omaggio all’analogico: la voglia di girare un horror amatoriale con la pellicola Super8 da parte di un gruppo di adolescenti si incrocia con l’arrivo di una creatura aliena, ripresa dai ragazzi stessi in quello che sembra un crossover tra gli ‘analogici’ E.T. ed Incontri ravvicinati del terzo tipo e i più ‘digitali’ Cloverfield e District9 (essi stessi un finto ibrido tra finzione e documentario). Un’idea, questa del rapporto tra analogico e digitale, che ritroviamo anche nel più recente Star Wars: Il risveglio della Forza: Han Solo e la principessa Leia/Finn e Rey, i droidi BB-8/C-3P0 e le loro due mappe che, unite, condurranno alla meta di questa ulteriore ricerca, ossia trovare Luke Skywalker. Anche in questo caso, non può di certo mancare una nave, anzi, un’astronave: il Millennium Falcon, che come la nave di Straka e l’aereo di Lost si rivela strumento essenziale per la condizione di smarrimento, senza la quale sarebbe impossibile scatenare, come afferma Aldo Grasso, le varie crisi di conoscenza. Il segreto più grande - dell’isola, di Straka, delle mappe per scovare Luke - sta proprio nel naufragare, perché possiamo essere noi stessi soltanto nella caduta, nell’isolamento e nella speranza.
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