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Le tacite ipocrisie delle "leggi di mercato"

Pubblicato il 16 maggio 2007 da Giampiero Francesca


Le tacite ipocrisie delle "leggi di mercato"

“Artigiani e operai”. Se vi chiedessero di definire queste categorie è probabile che, almeno d’istinto, la vostra logica vi ricondurrebbe ai ruoli di manovali e braccianti. Fa dunque sorridere pensare che, chi imputa alle “leggi del mercato” del “Sistema Italia”, l’arretratezza del nostro Paese nella qualità della produzione di fiction si autodefinisca “artigiano” o “operaio”. Eppure sono proprio queste le formule usate da Pietro Valsecchi (AD Taodue) e Marco Bassetti (Endemol), intervenuti al workshop sulla produzione organizzato dal Telefilm Festival, per definire il loro ruolo all’interno della produzione televisiva italiana.

E’ ovvio, per molte ragioni, che il mercato e la produzione italiana non possa e non debba essere una copia del modello americano. E’ però altresì vero che il “mercato”, termine avvezzo ai capitalisti, mal si concilia con le espressioni "artigiani" e "operai". Semmai, come nota giustamente Carlo Bixio (Publispei) , relatore anch’egli del workshop, meglio si concilierebbe con vocaboli quali imprenditore o industriale. Non è una semplice diatriba linguistica, ma una piccola differenza che nasconde almeno un paio di grandi verità: l’arretratezza, non solo nell’universo televisivo (le recenti vicende Telecom e Alitalia ne sono un esempio) del grado di sviluppo del capitalismo italiano e l’ipocrisia profonda dietro cui i nostri imprenditori (televisivi) si nascondono. L’ipocrisia, ad esempio, di essere imprenditori, magari imperfetti, ma mascheratisi da operai.

Prendiamo spunto dalle differenze fra Sistema Italia e American System, efficientemente elencate da Marco Bassetti, per provare a capire le reali distanze dell’oceano che separa i nostri sistemi televisivi.
L’analisi di Bassetti parte da un evidente, palese differenza: la disponibilità economica di una major hollywoodiana non è neanche vagamente avvicinabile alle possibilità italiane. L’esempio portato dal responsabile della Endemol è il costo di un episodio; un serial made in Usa costa circa 2.000.000 di dollari, l’equivalente italiano poco meno della metà. Come controbattere contro dati tanto manifesti? Non si può, a meno che non si consideri che nessuno pretende dalle “misere” casse di casa nostra prodotti come C.S.I. o Lost, dai conti proibitivi. Basterebbe produrre, ogni tanto, una volta all’anno, opere fatte di piccole idee, storie, progetti di qualità. E’ proprio quando si parla di storie, però, che nasce la seconda grande ipocrisia del sistema: l’assenza di scrittori, la mancanza di idee. Chiunque viva anche semplicemente sfiorando il mondo della televisione conosce il numero e le qualità di autori, giovani e meno giovani, che provano quotidianamente ad entrare in una casta di moderni paria. La realtà è che ciò di cui è più carente il nostro Paese è il coraggio. Il coraggio di scrivere, parlare, discutere di questi problemi. Il coraggio di chiedere, anche nei workshop, ai diretti interessati di render conto del loro operato. Il coraggio di produttori, broadcaster di emanciparsi dagl’italianissimi precetti del nepotismo e del clientelarismo. Il coraggio di credere nella sperimentazione e nelle novità (cosa sarebbe oggi di Ally McBeal, Buffy, House M.D. senza questo coraggio?)

Produttori e broadcaster dunque. E’ questo il secondo elemento di distanza fra le coste europee e quelle americane dell’Atlantico, che lo stesso Bassetti riassume: “In Usa i broadcaster (le reti ndr) coprono i costi solo per il 50/70 % del totale [...] per coprire le spese un prodotto deve quindi ottenere un buon successo nel mercato interno, ma dev’essere anche esportabile nel resto del mondo”. Il complesso discorso di Bassetti sottende una semplice verità: il provincialismo delle serie italiane. Liberiamo subito il campo da inutili ipocrisie (la terza); il problema della lingua, nel 2007 (come ormai da molti anni) è un finto problema, fumo negl’occhi per sviare lo sguardo dall’intricato groviglio che lega potere politico, producer e proprietari televisivi. Un esempio lampante di questo dedalo è arrivato proprio nelle ore successive al workshop. La Endemol, società che produce format e serie tv, è stata acquista da Mediaset. Un broadcaster ha acquisito un producer. Il ragionamento di Bassetti sembra di colpo manifestarsi in modo tangibile. La politica, sempre troppo vicina agl’interessi in gioco (siano le reti pubbliche o private), i broadcaster (possibilmente diversi dai politici stessi) e i produttori non si nascondano dietro ad un dito: ciò che esiste in America, anche a causa loro, da noi non può avvenire.
Tutti i problemi elencati in successione con precisione e puntiglio da Bassetti, “l’oppressione degl’indici d’ascolto”, “l’arretratezza dei sistemi produttivi”, “l’assenza del work-in-progress" nella realizzazione della serialità sono tutti fattori dipendenti dal precedente. E’ evidente che finché la comoda staticità dei vertici immobilizzerà il “Sistema Italia”, non solo non si potrà raggiungere il passo degli americani, ma non li si avvicinerà nemmeno. Staticità che, oltre a comportare danni contingenti, è causa di un provincialismo che cozza contro i progetti di allargamento europeo e con la volontà di tutte le grandi potenze di creare prodotti, brand sempre più global e meno local.

Le ipocrisie che circondano questo mondo, potente e temuto, toccano tutti i livelli. Il sistema, le leggi di mercato, l’industria, il rapporto con la politica, la possibilità di accedere ad una vera lobby, le istituzioni, le università: sono tutti pezzi di un grande puzzle celato dietro le piccole parole “operai” e “artigiani”.


_ Giampiero Francesca


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